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• Sentenza 10865/2016
(CONTROVERSIE)
sentenze i dettagli del sentenza - SESAMO Associazione Amministratori Immobiliari - aderente ad ASPPI
05 • Luglio • 2016

Sentenza 10865/2016

• Sentenza 28 maggio 2016 num.11034 Anno 2016
(CONTROVERSIE)
sentenze i dettagli del sentenza - SESAMO Associazione Amministratori Immobiliari - aderente ad ASPPI
07 • Giugno • 2016

In allegato la Sentenza num.11034 del 28/05/2016

• Sentenza Sez. 2 Num. 7406 Anno 2016
(CONTROVERSIE)
sentenze i dettagli del sentenza - SESAMO Associazione Amministratori Immobiliari - aderente ad ASPPI
14 • Aprile • 2016

In allegato la Sentenza Sez. 2 Num. 7406 Anno 2016

• sentenza 27 gennaio 2016, n. 1549
(CONTROVERSIE)
sentenze i dettagli del sentenza - SESAMO Associazione Amministratori Immobiliari - aderente ad ASPPI
27 • Gennaio • 2016
Suprema Corte di Cassazione
Sezione II
Sentenza 27 gennaio 2016, n. 1549
 
Considerato in fatto
Il Condominio di via (…) di R. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Chiavari il condomino R.P. rappresentando che lo stesso aveva realizzato una costruzione ed apposto gronde in aderenza al muro condominiale con ciò ledendo il diritto di veduta di tutti i rimanenti condomini ed alterando l’aspetto estetico ed architettonico dell’edificio condominiale.
Chiedeva, quindi, parte attrice la condanna del convenuto alla rimessione in pristino mediante demolizione dei manufatti.
Costituitosi in giudizio il R. contestava l’avversa domanda deducendone l’infondatezza e chiedendone il rigetto.
L’adito Tribunale, con sentenza n. 275/2006, rigettava la domanda proposta dal Condominio, che veniva condannato al pagamento della metà delle spese di lite e di ctu.
Avverso la suddetta decisione interponeva appello il Condominio, chiedendo la riforma dell’impugnata sentenza.
Resisteva al gravame il R. , formulando – inoltre – appello incidentale quanto alla ripartizione delle spese processuali.
L’adita Corte di Appello di Genova, con sentenza n. 382/2010, in accoglimento dell’appello principale condannava il R. a rimuovere dal proprio giardino due pergolati e le tre tettoie in atti individuate, nonché a rifondere le spese di lite.
Per la cassazione della succitata decisione della Corte territoriale ricorre il R. con atto affidato a sette ordini di motivi.
Resiste con controricorso il Condominio intimato.
Nell’approssimarsi dell’udienza hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c. entrambe le parti.
 
Ritenuto in diritto
1.- Con il primo motivo del ricorso si censura il vizio di “violazione dell’art. 1130 e 1131 c.c. (ai sensi dell’) art. 360 n. 3 c.p.c.”.
2.- Con il secondo motivo del ricorso si deduce il vizio di “violazione dell’art. 100 c.p.c. (ai sensi dell’) art. 360, n. 4 c.p.c.”.
3.- Con il terzo motivo parte ricorrente lamenta, ai sensi dell’”art. 360, n. 3 c.p.c. la falsa applicazione dell’art. 873 c.c.”.
4.- Con il quarto motivo del ricorso si prospetta il vizio di “omessa motivazione su un fatto controverso decisivo per il giudizio (ovvero) l’esistenza di una profondità dei pergolati tale da richiedere l’arretramento, ma non anche la loro rimozione” ex art. 360, n. 5 c.p.c..
5.- Gli esposti primi quattro motivi del ricorso possono trattarsi congiuntamente per la loro connessione ed in quanto relativi all’aspetto della controversia relativo agli anzidetti pergolati.
I motivi sono del tutti infondati.
Non sussiste, nell’ipotesi, la carenza di legittimazione passiva in capo all’Amministratore del Condominio (come prospettato col primo motivo del ricorso).
La questione (che, peraltro, non viene allegata come motivo già prima svolto nel corso del giudizio)è infondata.
Innanzitutto risulta adottata in data 14 dicembre 1991 delibera con cui l’assemblea condominiale disponeva di “promuovere causa”.
Inoltre L’Amministratore del Condominio ben poteva intraprendere le azioni necessarie a difesa della proprietà condominiale al cospetto delle prospettate violazioni ascrivibili al R. e compromettenti il generale interesse della tutela delle parti condominiali.
Tale considerazione comporta altresì e conseguentemente l’infondatezza del secondo motivo relativo alla pretesa mancanza di interesse sia del Condominio che dei singoli condomini.
Infatti quest’ultimi (sia il primo che i secondi), in ordine alle di loro rispettive proprietà, avevano interesse alla tutela delle stesse porzioni immobiliari.
Giova, in proposito, evidenziare immediatamente la differenza fra la tutela apprestata dall’ordinamento in relazione all’art. 873 c.c. e quella, differente (e di cui si dirà in seguito sub 6), relativa al diritto di veduta della singola unità immobiliare e, quindi, di ciascun proprietario di appartamento, con tutte le ovvie conseguenze in tema di legittimazione ad agire.
D’altra parte, l’ampia previsione dell’art. 873 c.c. ben giustificava e costituiva il fondamento, nella fattispecie, dell’interesse alla tutela delle proprietà nei confronti ed al cospetto di attività e realizzazioni di opere individuate come lesive.
Infondata è anche la questione (di cui al terzo motivo) relativa alla configurazione della natura dei pergolati di cui in ipotesi.
Quest’ultimi, in quanto realizzazioni stabilmente ancorate al suolo, non potevano che essere inquadrate nel novero concettuale di costruzione e, quindi, come tale lesiva dei diritti azionati in giudizio.
Neppure sussiste il difetto motivazionale lamentato con il quarto motivo del ricorso,a mezzo del quale si richiede – nella sostanza – di ritenere che “l’esistenza della profondità dei pergolati era tale da richiedere l’arretramento e non anche la loro rimozione”.
L’impugnata sentenza risulta, in punto, fondata su congrua motivazione esente da vizi logici riscontrabili in questa sede.
Deve, per più al riguardo, riaffermarsi (ad ulteriore riprova dell’infondatezza del quarto motivo) noto principio già affermato da questa Corte ( Cass. civ., Sez. Seconda, Sent. 27 aprile 2006, n. 9640), secondo cui “deducendo che era sufficiente, ai fini del rispetto delle distanze” ed allo scopo precipuo di ottenere – in luogo della demolizione – (a disposizione e “l’adozione di (altri) specifici accorgimenti………è sempre||e^essario che la parte interessata chieda al Giudice stesso l’adozione di tale potere” (cosa non risultante nella fattispecie).
I primi quattro motivi del ricorso devono, dunque, essere tutti respinti.
6.- Con il quinto motivo si deduce la violazione degli “artt. 1130 e 1131 c.c. (in relazione all’) art. 360 n. 3 c.p.c.” in quanto “la legittimazione ad agire per la tutela dei diritti di veduta spetta a ciascun singolo condomino che ne è titolare esclusivo e non all’amministratore del condominio”.
Il motivo è fondato.
La legittimazione ad agire per la specifica tutela dei diritti di veduta non può che appartenere ai singoli condomini.
In assenza di ogni altra allegazione quanto alla possibilità di coesistenza di vedute di singoli condomini e di vedute quali, ad esempio, quelle delle finestre delle scale del condominio, il diritto di veduta a favore delle singole unità abitative è proprio del titolare della proprietà di ciascun singola appartamento e, pertanto, non del Condominio, ma del singolo condomino-proprietario. Il motivo qui scrutinato deve, quindi, essere accolto.
7.- Con il sesto motivo si censura l’”insufficiente motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio” ovvero “circa il mancato rispetto delle distanze (punto più sporgente tettoie e facciata muro condominiale)”.
In proposito, richiamandosi quanto innanzi già affermato (pur se con riferimento al diverso aspetto della legittimazione processuale) sub 5. e 6., va considerato quanto segue.
La valutazione delle prescritte distanze con riferimento al punto massimo di sporgenza delle tettorie andava comunque svolta con specifica e chiara motivazione in punto di calcolo delle stesse con riguardo alla lesione di diritti individuali di singoli condomini e/o di diritti inerenti beni condominiali.
Differente sarebbe, infatti, la soluzione da dare in concreto alla vicenda se si trattasse di computo distanze nei confronti si singola proprietà individuale di un condomino ovvero nei riguardi di beni condominiali.
A tale principio non può non ispirarsi una attenta valutazione del denunciato aspetto del mancato o meno rispetto delle distanze in relazione al quale viene mossa la censura di carenza motivazionale. Poiché, in proposito, la motivazione della gravata decisione appare carente il motivo in esame deve ritenersi fondato e va, conseguentemente accolto.
8.- Con il settimo motivo si deduce la “violazione dell’art. 1102 c.c. in rapporto all’art. 907, 3 co. c.c. (in relazione all’) art. 360, n. 3 c.p.c.” Parte ricorrente prospetta la asserita necessità, nella fattispecie, della “verifica della prevalenza o meno delle norme di uso comune (1102) su quelle relative alle distanze legali (907, 3 co. c.c.)”.
La prospettata censura è del tutto destituita di fondamento.
Nessuna norma di uso comune può (né risulta mai essere stata utilizzata a tal fine) comportare il superamento delle prescrizioni di legge in materia di rispetto delle distanze legali.
L’impugnata sentenza è quindi, del tutto immune dalla formulata censura che non può essere accolta.
9.- In conseguenza dell’accoglimento del quinto e del sesto motivo del ricorso, va disposta la cassazione dell’impugnata sentenza ed il rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Genova affinché la stessa decida la controversia uniformandosi ai principi innanzi enunciati.
 
P.Q.M.
La Corte accoglie il quinto ed il sesto motivo del ricorso, rigettati i rimanenti, cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese, ad altra Sezione della Corte di Appello di Genova.
 
 
• Sentenza 29 gennaio 2015, n.1674 - "La responsabilità dei condomini nel caso di obbligazioni pecuniarie"
(CONTROVERSIE)
sentenze i dettagli del sentenza - SESAMO Associazione Amministratori Immobiliari - aderente ad ASPPI
29 • Gennaio • 2015

MASSIMA

La responsabilità dei condomini nel caso di obbligazioni pecuniarie è retta dal criterio della parziarietà, per cui le obbligazioni assunte nell'interesse del condominio si imputano ai singoli componenti soltanto in proporzione delle rispettive quote, secondo criteri simili a quelli dettati dagli artt. 752 e 1295 c.c.


CASUS DECISUS

B.M. , partecipante al condominio di via (omissis) , quale proprietario di un magazzino al piano scantinato e di locali adibiti ad esercizio commerciale, conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Velletri, il predetto condominio e i condomini singolarmente - cioè B.G. , P.A. , Be.Sp. , S.D. , P.I. , O.P. , O.A.M. , D.G.C. , L.G. , C.E. , Pe.Gi. , b.g. e M.B. - per sentirli condannare al risarcimento dei danni cagionati alla sua proprietà da infiltrazioni d'acqua e ristagni d'umidità, e all'eliminazione delle relative cause.

Nel resistere in giudizio i convenuti tutti, ad eccezione di B.G. e di M.B. , che non si costituivano, chiedevano il rigetto della domanda.

Il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda, affermando la responsabilità dei convenuti - i condomini nei limiti delle rispettive quote - in ragione del 50% e solo limitatamente ai danni arrecati al magazzino.

L'appello principale proposto dal condominio e quello incidentale avanzato da B.M. erano respinti dalla Corte d'appello di Roma, con sentenza n. 4805 del 7.11.2006. Osservava la Corte territoriale che la relazione del c.t.u. aveva ben definito il discrimine, nell'ambito delle cause del fatto dannoso, fra difetti originari di costruzione ed opere realizzate dal condominio o comunque omessa manutenzione delle parti comuni dell'edificio. A tal riguardo, osservava la Corte, era significativo che pur dopo l'esecuzione dei lavori disposti dal giudice istnittorc, infiltrazioni e ristagni non apparivano del tutto eliminati. Nonostante l'eliminazione delle cause d'infiltrazione ascrivibili al condominio, permaneva l'afflusso e il ristagno d'umidità, l'uno e l'altro riconducibili alla condizione strutturale dell'immobile.

In merito all'appello incidentale del B. , che aveva lamentato il rigetto della domanda risarcitoria quanto ai locali adibiti a negozio, la Corte territoriale osservava che il c.t.u. aveva rilevato che mentre all'epoca di costruzione del fabbricato condominiale il marciapiede era posto ad una quota più alta rispetto alla via pubblica, e con pendenza verso di essa, la realizzazione della fognatura pubblica da parte del comune aveva invertito la situazione dei luoghi, con conseguente deflusso dell'acqua verso la via traversa. Inconveniente, questo, cui il condominio aveva ovviato con la creazione di una passerella con sottostante tubo in pvc per la raccolta dell'acqua, senza che ciò provocasse ristagni a carico della proprietà dell'attore.

Quanto alla negata solidarietà passiva fra i singoli condomini, la Corte capitolina rilevava (richiamandosi a Cass. n. 8530/96) che la distinzione tra rapporti interni e rapporti esterni non rispondeva al dato testuale dell'art. 1123 c.c.. Nella disciplina positiva del condominio, proseguiva, vi è un collegamento immediato tra le obbligazioni e le quote che esprimono la proprietà, per cui, secondo il combinato disposto degli artt. 1118 e 1123 c.c. i diritti e le obbligazioni dei condomini sono proporzionati al valore del bene in proprietà solitaria, sicché all'adempimento delle obbligazioni i condomini sono tenuti sempre in proporzione alle rispettive quote.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre B.M. , in base a due motivi.

Resistono con separati controricorsi il condominio, che propone altresì impugnazione incidentale, e P.I. .

Il ricorrente principale ha proposto, altresì, controricorso al ricorso incidentale del condominio.

Concesso apposito termine, l’amministratore di quest'ultimo non ha depositato la delibera di autorizzazione dell'assemblea condominiale a resistere con controricorso e a proporre il ricorso incidentale.

A seguito dell'integrazione del contraddittorio e della rinnovazione delle notificazioni disposte da questa Corte, gli altri intimati e gli eredi di C.E. , deceduta, non hanno svolto attività difensiva.

Nell'imminenza dell'udienza di discussione il ricorrente ha depositato memoria.


TESTO DELLA SENTENZA

CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II CIVILE - SENTENZA 29 gennaio 2015, n.1674 - Pres. Piccialli – est. Manna

Motivi della decisione

Preliminarmente va disposta ai sensi dell'art. 335 c.p.c. la riunione dei due ricorsi, in quanto proposti contro la medesima sentenza.

1. - Col primo motivo del ricorso principale è dedotta la violazione e falsa applicazione 'di norme di diritto'.

Parte ricorrente lamenta che non sia stata pronunciata la condanna dei convenuti in solido fra loro e con il condominio in applicazione dell'art. 1294 c.c., secondo cui i condebitori sono tenuti in solido se dalla legge o dal titolo non risulta diversamente, norma che in materia condominiale non risulta derogata da specifiche disposizioni.

Formula al riguardo il seguente quesito di diritto ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis alla fattispecie: 'dica l'Ecc.ma Corte di Cassazione adita se, in tema di condominio, debba applicarsi l'art. 1294 c.c. per cui i condebitori (condomini) sono tenuti in solido, se dalla legge o dal titolo no risulta altrimenti, ritenendo che tale disposizione non sia derogata dalle norme specifiche concernenti il condominio negli edifici'.

2. - Il secondo motivo, articolato in più punti, denuncia l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo.

Sostiene parte ricorrente che nel ripartire al 50% la responsabilità dei danni per cui è causa fra l'attore e il condominio, la Corte distrettuale non ha considerato come i vari accertamenti tecnici svolti abbiano evidenziato che le cause delle infiltrazioni sono costituite anche da perdite degli impianti, vale a dire il serbatoio e i macchini della rete condominiale. Né è esatto, prosegue la censura, che la prova dell'esistenza di cause relative a difetti costruttivi sia dimostrata - come ha sostenuto la Corte d'appello — dal fatto che gli inconvenienti permangano in parte nonostante l'esecuzione dei lavori stabiliti, perché il condominio non ha ancora realizzato quanto impostogli dal giudice di primo grado.

Ancora, non è esatto, prosegue il ricorrente, che il locale danneggiato sia privo di ventilazione. La relativa entrata, per le sue dimensioni, è tale da costituire una fonte più che adeguata di aerazione, evitando fenomeni di condensa.

Inoltre, è insufficiente la motivazione della sentenza impugnata circa l'esistenza di una 'colpa' dell'attore, per essere egli erede del costruttore, e per lo stato d'abbandono dell'immobile, ove si consideri che B.M. ha avuto la disponibilità del locale solo nel 1989, e già l'anno successivo egli ebbe a richiedere l'accertamento tecnico preventivo sulle cause dei danni.

Sarebbe illegittima, inoltre, l'esclusione del risarcimento per i danni provocati dal ristagno delle acque piovane sul marciapiedi. Erroneamente i giudici di merito hanno considerato che tale disagio sia stata provocato dall'innalzamento del manto stradale effettuato dal comune di Ciampino per realizzare la fognatura pubblica, portando così il marciapiedi preesistente ad una quota più bassa. La Corte territoriale non ha considerato il fatto che l'opera (una passerella in muratura con sottostante tubo in pvc) eseguita dal condominio per rimuovere il problema è stata posta in essere non su tutto il marciapiede condominiale, ma solo sulla parte relativa all'ingresso dello stabile, e non anche in corrispondenza dell'ingresso dei negozi del ricorrente.

Ancora, prosegue il ricorrente, i giudici di merito hanno erroneamente valutato, ai fini della quantificazione del risarcimento, il canone locativo calcolato dal c.t.u., invece di considerare il reale valore di mercato dell'immobile, ignorando la documentazione prodotta dall'attore che provava un canone maggiore rispetto a quello indicato dall'ausiliario del giudice.

Infine, la Corte territoriale, pur riconoscendo che il giudice di primo grado, non aveva provveduto sulla domanda di condanna in solido del condominio e dei condomini al compimento delle opere necessarie a riparare il magazzino, ha affermato, contraddittoriamente con quanto ritenuto nella stessa sentenza, che nel corso del giudizio non era stata provata, di tali danni, l'esistenza, la natura, l'entità e il costo di ripristino.

3. - Con l'unico motivo del ricorso incidentale il condominio deduce l'omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo, in relazione all'art. 395, n. 5 c.p.c..

La Corte territoriale non si è pronunciata sul secondo motivo dell'appello incidentale del condominio stesso, che aveva lamentato la genericità, l'indeterminatezza e l'onerosità dell'ulteriore (rispetto a quanto già eseguito nel corso del giudizio di primo grado) obbligo di fare impostogli dalla sentenza del Tribunale. La Corte territoriale si è limitata ad osservare incidenter che l'esecuzione dei lavori ulteriori a nord del fabbricato mirava ad eliminare effetti eccezionali, collegati ad accumuli conseguenti a precipitazioni intense. Pertanto, secondo la Corte capitolina, tale residuo obbligo di fare sarebbe finalizzato alla rimozione di cause del tutto eventuali e marginali. Di qui la contraddittorietà del decisum, che perpetua un obbligo risarcitorio a carico del condominio, il quale ha già provveduto ad eliminare le cause certe del danno.

3. - Il primo motivo del ricorso principale (che sebbene genericamente intitolato è chiaramente riferito, nello svolgimento e nel quesito di diritto, alla violazione dell'art. 1294 c.c.) è fondato nei termini che seguono.

3.1. - La natura delle obbligazioni dei singoli condomini verso i terzi è i stata oggetto, vigente la disciplina anteriore alla legge n. 220/12 (in vigore dal 18.6.2013), di un intervento delle S.U. di questa Corte, le quali con sentenza n. 9148/08 hanno affermato, in rapporto a obbligazioni assunte dall'amministratore in rappresentanza del condominio nei confronti di terzi, che in difetto di un'espressa previsione normativa che stabilisca il principio della solidarietà, la responsabilità dei condomini nel caso di obbligazioni pecuniarie è retta dal criterio della parziarietà, per cui le obbligazioni assunte nell'interesse del condominio si imputano ai singoli componenti soltanto in proporzione delle rispettive quote, secondo criteri simili a quelli dettati dagli artt. 752 e 1295 c.c..

Ciò in quanto, si legge in motivazione, la solidarietà configura, nei rapporti esterni tra creditore e debitori, il modo di essere di un'obbligazione intrinsecamente parziaria quando la legge privilegia la comunanza della prestazione. Diversamente, in assenza, cioè di un'espressa previsione normativa che stabilisca la solidarietà nel debito, la struttura parziaria dell'obbligazione ha il sopravvento e insorge una pluralità di obbligazioni tra loro connesse. Sebbene la solidarietà raffiguri un principio riguardante i condebitori in genere, tale principio generale è valido laddove, in concreto, sussistano tutti i presupposti previsti dalla legge per l'attuazione congiunta del condebito. E poiché la solidarietà, spesso, viene ad essere la configurazione ex lege, nei rapporti esterni, di un'obbligazione intrinsecamente parziaria, in difetto di configurazione normativa dell'obbligazione come solidale e, contemporaneamente, in presenza di un'obbligazione comune, ma naturalisticamente divisibile, viene meno uno dei requisiti della solidarietà, la quale, del resto, viene meno ogni qual volta la fonte dell'obbligazione comune è intimamente collegata con la titolarità delle res.

3.1.1. - Tale pronuncia delle S.U., emessa con riguardo ad un'obbligazione contrattuale che un condominio tramite il suo amministratore aveva assunto verso un terzo, ricollega dunque la solidarietà nelle obbligazioni divisibili ad una previsione legislativa che imponga l'esecuzione congiunta della prestazione.

In disparte il delicato problema dell'esportabilità del principio anzi detto oltre gli stretti limiti di corrispondenza alla fattispecie concreta posta all'esame delle S.U. (per un'argomentata negativa cfr. in motivazione Cass. n. 21907/11, che osserva come la decisione delle S.U. si basi essenzialmente su considerazioni ulteriori che eccedono il fondamento dell'art. 1294 c.c. e la sua applicabilità alla comunione), va osservato che in materia di responsabilità per fatto illecito l'espressa previsione della solidarietà passiva è contenuta nell'art. 2055, primo comma c.c., in base al quale se il fatto dannoso è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno.

3.1.2. - L'applicabilità dell'art. 2055 c.c. (che opera un rafforzamento del credito evitando al creditore di dover agire coattivamente contro tutti i debitori pro quota) ai danni da cosa condominiale in custodia trova una prima conferma, innanzi tutto, in alcuni precedenti di questa Corte, come Cass. n. 6665/09, che ha ritenuto il condomino danneggiato quale terzo rispetto allo stesso condominio cui è ascrivibile il danno stesso (con conseguente inapplicabilità dell'art. 1227, primo comma c.c.); Cass. n. 4797/01, per l'ipotesi di danni da omessa manutenzione del terrazzo di copertura cagionati al condomino proprietario dell'unità immobiliare sottostante; Cass. n. 6405/90, secondo cui i singoli proprietari delle varie unità immobiliari comprese in un edificio condominiale, sono a norma dell'art. 1117 c.c. (salvo che risulti diversamente dal titolo) comproprietari delle parti comuni, tra Le quali il lastrico solare, assumendone la custodia con il correlativo obbligo di manutenzione, con la conseguenza, nel caso di danni a terzi per difetto di manutenzione del detto lastrico, della responsabilità solidale di tutti i condomini, a norma degli artt. 2051 e 2055 c.c..

3.1.3. - Ciò premesso a giustificazione di una linea di tendenza che appare già presente, va osservato che premesse storiche, ragioni sistematiche e considerazioni particolari alla fattispecie della responsabilità per danni derivanti da cose in custodia, confortano la tesi dell'applicabilità dell'art. 2055, 1 comma c.c. anche in ambito condominiale.

Nel codice civile del 1865, che come tutti i codici liberali dell'800 richiedeva, essendo ispirato al favor debitoris, una specifica fonte convenzionale o legale della solidarietà (v. l'art. 1188 c.c. 1865), la previsione della solidarietà passiva nelle ipotesi di delitto o quasi-delitto (v. l'art. 1156 c.c. 1865) impediva che l'opposto principio della parziarietà dell'obbligazione, concepito come una sorta di beneficio, potesse operare anche a vantaggio di chi, essendo autore di un illecito aquiliano, non ne era ritenuto degno.

Invertita nel codice vigente la regola generale sulla solidarietà passiva, l'art. 2055 c.c. può ritenersi mera norma di rimando all'art. 1294 c.c. solo a patto di riespandere quella portata generale e autoreferenziale di quest'ultima disposizione, che il citato arresto delle S.U. ha inteso comprimere.

Diversamente, minore è la pervasività della regola generale nelle singole ipotesi di obbligazioni soggettivamente complesse nel lato passivo, maggiore, di riflesso, è l'autonoma incidenza fondativa delle norme che prevedono la solidarietà in ambiti particolari, tra cui appunto l'art. 2055, 1 comma c.c. per quanto concerne la responsabilità extracontrattuale. Non può ipotizzarsi, infatti, che il sistema ponga allo stesso modo, con disposizioni ugualmente generiche e necessitanti d'integrazione, tanto la regola generale quanto quella di settore.

A ciò va aggiunto che la stessa struttura della responsabilità per danni prevista dall'art. 2051 c.c. presuppone l'identificazione di uno o più soggetti cui sia imputabile la custodia. Il custode non può essere identificato né nel condominio, interfaccia idoneo a rendere il danneggiato terzo rispetto agli altri condomini, ma pur sempre ente di sola gestione di beni comuni, né nel suo amministratore, essendo questi un mandatario dei condomini. Solo questi ultimi, invece, possono considerarsi investiti del governo della cosa, in base ad una disponibilità di fatto e ad un potere di diritto che deriva loro dalla proprietà piena sui beni comuni ex art. 1117 c.c. (sui requisiti in generale della custodia ai fini dell'applicazione dell'art. 2051 c.c., cfr. Cass. S.U. n. 12019/91).

Se ne deve trarre, pertanto, che il risarcimento del danno da cosa in custodia di proprietà condominiale non si sottrae alla regola della responsabilità solidale ex art. 2055, 1 comma c.c., individuati nei singoli condomini i soggetti solidalmente responsabili.

4. - Il secondo motivo è, invece, infondato.

Esso si sostanzia in una complessiva rilettura delle emergenze istruttorie che della sentenza impugnata lamenta non già omissioni tematiche, ma la mancata valorizzazione di singoli elementi favorevoli alla tesi attorea; non deduce errori logici della motivazione, ma si duole di valutazioni di puro merito non conformi alle proprie aspettative e a quello che il ricorrente - e non la Corte territoriale - ritiene essere il corretto accertamento dei fatti. Ne consegue che la critica svolta non eccede l'ambito della mera sollecitazione di un sindacato di merito, incompatibile con i poteri che competono a questa Corte di legittimità.

5. - Il ricorso incidentale, infine, è inammissibile per difetto di legittimazione processuale dell'amministratore del condominio, non avendo questi depositato, nonostante il termine appositamente concesso (in base a Cass. S.U. n. 18331/10), la delibera condominiale autorizzativa.

6. - L'accoglimento del primo motivo del ricorso principale impone la cassazione della sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, consente la decisione della causa nel merito, ai sensi dell'art. 384, 2 comma c.p.c., condannando i condomini evocati in giudizio in solido tra loro al risarcimento del danno in favore dell'attore.

7. - L'accoglimento solo parziale del ricorso principale induce a compensare integralmente le spese del doppio grado di merito e del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, accoglie il primo motivo del ricorso principale, rigettato il secondo, dichiara inammissibile il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e decidendo nel merito condanna i condomini evocati in giudizio in solido tra loro al risarcimento del danno in favore dell'attore; compensa integralmente fra le parti le spese del doppio grado di merito e del presente giudizio di cassazione.

 

 

• Sentenza 14 luglio 2015 n.14697 - "Criteri di riparto delle spese riguardanti la manutenzione, ricostruzione e installazione dell’ascensore."
(MANUTENZIONE STRAORDINARIA)
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14 • Luglio • 2015

 

Suprema Corte di Cassazione

 

Sezione II

Sentenza 14 luglio 2015, n. 14697

Ritenuto in fatto

1. – È impugnata la sentenza della Corte d’appello di Genova, depositata il 14 febbraio 2009, che ha accolto l’appello proposto da N.A. avverso la sentenza del Tribunale di Genova, e nei confronti del Condominio via (omissis) .

1.1. – Il condomino N.A. aveva agito contro il Condominio per l’annullamento della delibera 7 luglio 1994, nella parte in cui – per quanto ancora di interesse – recava l’approvazione dell’esecuzione di un intervento di ristrutturazione dell’ascensore, essendo stata adottata con la partecipazione dei soli condomini proprietari degli appartamenti situati dal primo all’ultimo piano dell’edificio, con esclusione dei proprietari del piano ammezzato e dei negozi.

Il Condominio aveva contestato la domanda, evidenziando che l’ascensore era sempre stato al servizio dei soli appartamenti situati al di sopra del piano ammezzato, ed apparteneva soltanto ai proprietari dei predetti immobili.

1.2. – Il Tribunale aveva rigettato la domanda.

2. – Proposto appello dal sig. N. , cui resisteva il Condominio, la Corte territoriale ribaltava la decisione sul rilievo che l’intervento in oggetto non riguardava semplicemente la manutenzione degli ascensori – ciò che avrebbe giustificato l’intervento dei soli condomini che ne usufruivano – ma era finalizzato alla conservazione della cosa comune e quindi doveva essere approvato con la partecipazione di tutti i condomini.

2.1. – La Corte d’appello richiamava la giurisprudenza di legittimità in tema di riparto delle spese di manutenzione e delle scale, da effettuarsi secondo la regola posta dall’art. 1124 cod. civ., applicabile analogicamente all’ascensore, stante l’identità di ratio.

3. – Ricorrono per la cassazione della sentenza d’appello i condomini B.A. , C.P. , P.M. , Pe.Gi. , la SEMEA società semplice, L.L. , S.G. e la GEA s.r.l., sulla base di tre motivi.

Resiste con controricorso N.A. .

Considerato in diritto

1. — Preliminarmente si deve affermare la regolarità dell’avviso di udienza effettuato nella cancelleria di questa Corte dopo che, dalla relazione di notifica dell’avviso presso il domicilio eletto, era risultato l’avvenuto decesso del domiciliatario (ex plurimis, Cass., Sez. U., sentenza n. 13908 del 2011).

1.1. – Ancora in via preliminare, si deve rilevare che gli odierni ricorrenti hanno proposto il ricorso sulla base della legittimazione autonoma, spettante a ciascun condomino, ad impugnare la sentenza sfavorevole al Condominio in luogo dell’amministratore rimasto inerte (ex plurimis, Cass., sez. 2^, sentenza n. 12588 del 2002; sez. 3^, sentenza n. 10717 del 2011), ma non hanno notificato il ricorso al Condominio di via (omissis) , che ha resistito in entrambi i gradi di merito all’azione proposta dal condomino N. . Si porrebbe, quindi, la necessità di disporre la notifica del ricorso all’amministratore del Condominio, allo scopo di rendere oppo-nibile la decisione a tutti i condomini.

Tuttavia, in applicazione del principio processuale della “ragione più liquida”, desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost. (Cass., Sez. U., sentenza n. 9936 del 2014), si ritiene di e-saminare direttamente i motivi di merito, suscettibili di assicurare la sollecita definizione del giudizio, evitando inutile dispendio di energie processuali.

2. – Il ricorso è infondato.

2.1. – Con il primo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 1104, 1105 e 1124 cod. civ..

Si assume che la Corte d’appello avrebbe dato atto che la proprietà dell’ascensore è dei soli condomini che utilizzano l’impianto, per poi, contraddittoriamente, ritenere necessaria la partecipazione di tutti i condomini alla deliberazione dei lavori di sostituzione dello stesso.

In ossequio al disposto di cui all’art. 366-bis cod. proc. civ., applicabile ratione temporis, è formulato il seguente quesito di diritto: “[se,] qualora un impianto sito in un condominio (nel caso di specie un ascensore) sia di proprietà solo di alcuni condomini, è solo a questi ultimi che competono tutte le decisioni in merito a tale impianto, cosi come le relative spese, applicandosi in tal caso la normativa sulla comunione (artt. 1104, 1105 e ss. cod. civ.)”.

2. – Con il secondo motivo è dedotta violazione dell’art. 1117 cod. civ..

Si assume l’erroneità della decisione della Corte d’appello anche nella prospettiva dell’applicazione delle norme in materia di condominio. Posto, infatti, che l’art. 1117, n. 3), cod. civ. indica l’ascensore tra i beni comuni in quanto destinati all’uso comune, nel caso di specie tale uso non era stato dimostrato dalla parte sulla quale gravava l’onere probatorio.

A corredo del motivo, è formulato il seguente quesito di diritto: “[se,] i beni indicati al n. 3) dell’art. 1117 cod. civ. devono intendersi comuni a tutti i condomini solo in quanto e a condizione che siano all’effettivo servizio di tutte le unità immobiliari di cui si compone il condominio, con inversione dell’onere della prova sul punto rispetto ai beni elencati ai nn. 1) e 2) di detta norma”.

3. – Con il terzo motivo è dedotta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1123 e 1124 cod. civ..

Si assume, infine, l’erronea applicazione dei principi in tema di riparto delle spese di manutenzione e ricostruzione del bene comune, che deve seguire l’effettivo utilizzo del bene.

A corredo del motivo, è formulato il seguente quesito di diritto: “[se] le opere di conservazione delle scale e, ragionando per analogia, dell’ascensore, devono essere deliberate e pagate dai soli condomini cui servono, come dispone l’art. 1124 cod. civ. o da tutti i condomini”.

4. — Le doglianze, che possono essere esaminate congiuntamente perché sotto profili diversi e gradati hanno ad oggetto la medesima questione della partecipazione di tutti i condomini all’assemblea convocata per deliberare in ordine all’intervento di sostituzione dell’ascensore condominiale, sono all’evidenza infondate.

4.1. – La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui la proprietà dell’ascensore è comune a tutti i condomini, salvo titolo diverso, e che il criterio di ripartizione delle relative spese contenuto nell’art. 1124 cod. civ. non incide sul regime di proprietà.

4.2. – Non hanno costituito oggetto di esame da parte della Corte d’appello né la questione dell’esistenza o non, nel caso di specie, di una deroga convenzionale alla disciplina legale, e quindi anche alla c.d. presunzione di proprietà comune, sancita dall’art. 1117 cod. civ., né la questione della destinazione effettiva del bene, con le necessarie implicazioni, in termini di accertamento di fatto (l’ascensore, come le scale, serve a raggiungere parti dell’edificio che possono essere comuni in proprietà individuale), e la sentenza d’appello non è censurata per omesso esame delle predette questioni.

4.3. – In questa prospettiva si deve leggere il richiamo conclusivo operato dal giudice d’appello alla sentenza di questa Corte n. 4975 [rectius n. 5975] del 2004, in tema di criteri di riparto delle spese riguardanti la manutenzione, ricostruzione e installazione dell’ascensore.

4.3.1. – La pronuncia citata, dopo aver ribadito che la disciplina contenuta negli artt. 1123-1125 cod. civ., sul riparto delle spese inerenti ai beni comuni, è suscettibile di deroga con atto negoziale, e, quindi, anche con il regolamento condominiale che abbia natura contrattuale, ha affermato che “deve ritenersi legittima non solo una convenzione che ripartisca tali spese tra i condomini in misura diversa da quella legale, ma anche quella che preveda l’esenzione totale o parziale per taluno dei condomini dall’obbligo di partecipare alle spese medesime. In quest’ultima ipotesi, nel caso cioè in cui una clausola del regolamento condominiale stabilisca in favore di taluni condomini l’esenzione totale dall’onere di contribuire a qualsiasi tipo di spese (comprese quelle di conservazione), in ordine a una determinata cosa comune (come ad es. l’ascensore), si ha il superamento nei riguardi della suddetta categoria di condomini della presunzione di comproprietà su quella parte del fabbricato”.

4.3.2. – In assenza di siffatta previsione contrattuale, la proprietà comune del bene impone la partecipazione di tutti i condomini alle decisioni che concernono detto bene.

5. – Al rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti alle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per e-sborsi, oltre accessori di legge.

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