FAQ (Domande Frequenti)
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• RISTRUTTURAZIONE TERRAZZO
Argomento: RISTRUTTURAZIONE TERRAZZO
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Domanda: Nell'ambito di una ristrutturazione di un terrazzo la spesa per la
sostituzione della bandinella in rame a protezione del frontalino è posta a
carico del condominio o resta al privato?

Risposta: In linea di massima, sebbene i balconi aggettanti siano complessivamente da ritenersi di proprietà esclusiva di ogni singolo condomino, i rivestimenti del fonte del balcone vanno ritenuti di competenza condominiale.

Da ultimo, la Cassazione ha precisato in senso stretto la possibilità di attribuire al condominio le spese per la manutenzione dei balconi.

Infatti, nella sentenza della Corte di Cassazione n. 21641/2017, si afferma che "gli elementi esterni, quali i rivestimenti della parte frontale e di quella inferiore, e quelli decorativi di fioriere, balconi e parapetti di un condominio, svolgendo una funzione di tipo estetico rispetto all'intero edificio, del quale accrescono il pregio architettonico, costituiscono, come tali, parti comuni ai sensi dell’articolo 1117 c.c., n. 3, con la conseguenza che la spesa per la relativa riparazione ricade su tutti i condomini, in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno".
 
Il presupposto perchè la spesa possa essere ritenuta condominiale è quindi, come affermato anche dalle precedenti sentenze della Corte di Cassazione n. 6624/2012 e 14576/2004, è che i rivestimenti e gli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore dei balconi si inseriscano nel prospetto dell’edificio e contribuiscano a renderlo esteticamente gradevole
 
Un certo margine di incertezza interpretativa esiste quindi sempre inevitabilmente, ma il rivestimento del fronte dei balconi anche per il solo fatto di essere realizzato con caratteristiche uniformi, ha inevitabilmente una funzione ben precisa nell'estetica e nel decoro architettonico di un edificio, funzione che può essere esclusa solo in casi piuttosto eccezionali come nel caso in cui si tratti di un fabbricato privo di qualsiasi uniformità architettonica, o che si trova in uno stato di scadimento estetico tale da rendere irrilevante l'arbitrarietà costruttiva o di manutenzione dei singoli particolari.

La spesa per la sostituzione del rivestimento in rame a protezione del frontalino va ritenuta quindi una spesa condominiale.

• LINEA VITA: CONTROLLI
Argomento: LINEA VITA
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Domanda: Vorrei avere dei chiarimenti in merito alle verifiche da effettuare sulle Linea Vita. Mi spiego meglio: ho provveduto a fare installare la cosiddetta Linea Vita in quasi tutti i condominii da me amministrati. Circa un mese fa, un artigiano che doveva eseguire alcuni ripristini su di un tetto, mi ha riferito che secondo il suo parere  la Linea Vita esistente non era a norma. Ho provveduto pertanto ad incaricare un ente certificatore perché provvedesse ad eseguire  le opportune verifiche. Il tecnico incaricato dall’Ente certificatore ha rilasciato un verbale nel quale viene evidenziato che la documentazione amministrativa consegnata dall’installatore è carente (mancavano le foto relative all’installazione delle funi ed il loro fissaggio al tetto) ed anche che una fune era “lenta” per cui occorreva tenderla meglio. Le verifiche da effettuare sulla linea vita in questione dovrebbero essere eseguite, secondo le istruzioni del fabbricante, con cadenza annuale. L’installatore mi ha poi riferito che lui stesso può effettuare le verifiche sulle Linee Vita. Considerando che ogni verifica effettuata dall’Ente Certificatore costa al condominio € 300,00 + IVA, prima di procedere con le verifiche fatte dall’installatore, Vi chiedo quanto segue:

  • E’ vero che gli installatori possono eseguire le verifiche sulle Linee Vita installate da loro stessi?
  • Devono rilasciare comunque un verbale?
  • Non è meglio che la verifica la esegua un terzo?

RIsposta: Il committente di opere la cui esecuzione implica rischi specifici per l'esecutore - come nel caso dei lavori che si svolgono in quota - assume inevitabilmente gravi responsabilità, specie quando non viene nominato un responsabile dei lavori, come tipicamente avviene in tutti i casi in cui si svolgono piccoli interventi di manutenzione

A livello nazionale si può affermare che l'obbligo non riguarda in senso stretto la posa in opera di linee vita, bensì la circostanza che, in caso di lavori che comportano pericolo di caduta, siano messe in atto adeguate strategie di protezione del lavoratore.

Infatti il Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro, Decreto Legislativo 81/2008, dispone all'art. 115, riguardante i "Sistemi di protezione contro le cadute dall'alto", che "1. Nei lavori in quota qualora non siano state attuate misure di protezione collettiva .. è' necessario che i lavoratori utilizzino idonei sistemi di protezione idonei per l'uso specifico composti da diversi elementi, non necessariamente presenti contemporaneamente, conformi alle norme tecniche, quali i seguenti: assorbitori di energia; connettori; dispositivo di ancoraggio; cordini; dispositivi retrattili; guide o linee vita flessibili; guide o linee vita rigide; imbracature.
3. Il sistema di protezione deve essere assicurato, direttamente o mediante connettore lungo una guida o linea vita, a parti stabili delle opere fisse o provvisionali".
Tuttavia, per effetto del rinvio alla normativa locale contenuto nell'art. art 1 comma 2 del D. Lgs. 81/08, nel caso in cui vi siano normative regionali, queste prevalgono.
Così, ad esempio, in Emilia Romagna, le linee vita sono comunque obbligatorie nel caso di nuova costruzione e per interventi riguardanti l’involucro esterno (pareti esterne perimetrali e/o coperture) di edifici esistenti che necessitano di permesso di costruire (PDC), segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), o nei casi in cui è prevista la notifica preliminare dei lavori da eseguirsi. Se l’intervento non ricade nei casi sopra elencati, non vi è l’obbligo di installazione di linee vita. (Deliberazione assemblea regionale Emilia-Romagna n. 149 del 17.12.13 "Atto di indirizzo e coordinamento per la prevenzione delle cadute dall'alto nei lavori in quota nei cantieri edili e di ingegneria civile", in vigore dal 15.07.2014, ai sensi dell’art. 6 della L.R. 2 marzo 2009, n. 2).
La determinazione dell'amministratore nell'installazione di linee vita è comunque sempre opportuna, perchè, anche dove la normativa locale non impone l'installazione di questo manufatto, è sempre e comunque necessario fare in modo che il lavoratore sia protetto.
Gli utilizzatori delle linee vita essendo i principali soggetti esposti al rischio di caduta, richiedono giustamente la documentazione delle linee vita prima di accedere alla copertura, verificando che la data dell’ultima revisione effettuata non sia superiore a quanto previsto dal costruttore o dalle norme tecniche e controllando la corrispondenza e l’integrità delle linee vita.
Il D. Lgs. 81/2008 prevede del resto, tra le misure generali di tutela, l’obbligo di verificare la “regolare manutenzione degli ambienti, attrezzature, impianti, con particolare riguardo ai dispositivi di sicurezza in conformità alle indicazioni dei fabbricanti” (art. 15 comma 1 lettera z). Lo stesso D. Lgs. 81/2008 Impone inoltre l’uso di sistemi e dispositivi che siano "conformi alle norme tecniche" (art. 115 comma 1). Il responsabile della verifica periodica viene riconosciuto nel datore di lavoro (proprietario dell’immobile o amministratore condominiale) o nel responsabile di cantiere.
La norma tecnica di riferimento in questo settore è la Norma UNI 11560:2014 che prevede (punto 9.2.3) l'ispezione periodica sui sistemi anticaduta definitivi ogni 2 anni (verifica del sistema di ancoraggio) ed ogni 4 anni (verifica dei fissaggi).
Il costruttore o il progettista può prescrivere però una maggiore frequenza delle ispezioni tenendo conto delle condizioni ambientali e di utilizzo.
L'ispezione deve essere eseguita dal manutentore o da un ispettore terzo con assunzione di responsabilità eseguendo i controlli di cui al punto 9.2.5 della norma UNI 11560:2014. Nel caso in cui siano rilevati difetti o inconvenienti deve essere effettuata una ispezione straordinaria.
Tutte le ispezioni devono essere registrate su apposite schede i cui contenuti sono dettagliati dalla norma UNI sopra citata (punto 9.4).
Quindi:
  • la periodicità delle verifiche dipende dalle indicazioni del fabbricante, ma, come minimo, la verifica deve essere effettuata ogni due anni sul sistema di ancoraggio e ogni quattro anni sui fissaggi;
  • gli installatori possono eseguire le verifiche previste dalla normativa anche sugli impianti installati dai medesimi: in ogni caso si assumono anche la responsabilità della corretta effettuazione delle verifiche;
  • a seguito delle verifiche va compilata l'apposita scheda di registrazione.

Il Presidente del Comitato Tecnico Scientifico  - dott. Antonio Romano


 

• Disinfestazione blatte
Argomento: DISINFESTAZIONE
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Domanda: vorrei sapere, in caso di presenza di blatte nelle parti comuni di un condominio composto da villette a schiera, se l'amministratore è tenuto/obbligato per legge a fare eseguire la disinfestazione indipendentemente dalla volontà dei condomini e in caso contrario se è sufficiente la maggioranza. Grazie
Risposta:
Non vi sono norme nazionali che impongano interventi di disinfestazione in modo esplicito in ambito condominiale: è però molto frequente che il Comune dove si trova l'immobile disponga la necessità di disinfestazioni di varia natura (deblattizzazioni/derattizzazioni) specificandole la periodicità.
In linea di massima, tali disposizioni si trovano nel Regolamento di Igiene comunale, ma spesso i Comuni provvedono anche con specifiche Ordinanze del Sindaco.
Occorre quindi verificare questo aspetto.
Se non vi sono nè norme pertinenti nel Regolamento di Igiene, nè Ordinanze del Sindaco al riguardo, si può ragionare sulla circostanza che la deblattizzazione può essere ritenuta dovuta soltanto nel caso di accertata presenza di insetti.
In questo caso l'amministratore dovrebbe considerare quanto deciso (per altra questione) dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 25251 del 2008. La Suprema Corte ha argomentato la responsabilità dell'amministratore sulla base del presupposto che questi, come mandatario ex art. 1130 e 1135 Cod Civ, “ha il compito di provvedere non solo alla gestione delle cose comuni ma anche della custodia di esse, con il conseguente obbligo di vigilare affinchè non rechino danni a terzi o agli stessi condomini.” 
Se quindi la presenza di insetti può rischiare di creare un problema sanitario o quanto meno di decoro del fabbricato, l'amministratore dovrebbe intervenire.
In ogni caso si tratta di interventi di manutenzione ordinaria, per cui l'amministratore provvede anche senza necessità di preventiva delibera assembleare.
Occorre che l'amministratore faccia attenzione al disposto della L 82/1994 che prevede la verifica della circostanza che la ditta incaricata della disinfestazione abbia determinati requisiti e sia inserita nell'apposito albo professionale: l'art 6 comma 4 di tale Legge punisce con una specifica sanzione amministrativa il comportamento di chiunque stipuli contratti per lo svolgimento di attività di disinfestazione, o comunque si avvalga di tali attività a titolo oneroso, con imprese di pulizia non iscritte o cancellate dal registro delle ditte o dall'albo provinciale delle imprese artigiane, o la cui iscrizione sia stata sospesa.
Nel caso in cui il condominio sia "datore di lavoro" occorre considerare che la questione rientra nell'obbligo del datore di lavoro di valutare i rischi e garantire, ai sensi dell'art 64 e dell'allegato 4 del D. Lgs. 81/08, l'igiene e la pulizia dei locali di lavoro.

Argomento: SERVITU' CONDOMINIALI
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Domanda: L’amministratrice di Condominio ha convocato l’Assemblea Straordinaria che si è tenuta in seconda convocazione il 7 Maggio u.s. Il punto all’o.d.g. che mi interessa è il seguente:” Valutazione proposta del condomino Cervone per la costituzione di una servitù di passaggio di una parte del locale in cui era allocata la ex centrale termica condominiale”.

Non ho partecipato all’Assemblea così come altri condomini, ma ho appreso dall’Amministratrice che la proposta è stata accolta e nella giornata di ieri lo stesso condomino ha provveduto ad abbattere alcuni muri avendo in corso nel piano interrato la realizzazione di garage e box da vendere.

Domanda:” E’ possibile che pur in mancanza di una adesione totale sia stato possibile aderire alla proposta? L’intervento tempestivo di demolizione della ex centrale condominiale è avvenuto prima ancora che ai condomini assenti sia stata comunicata la delibera per eventuali azioni di dissenso o di impugnativa, che qualora possibili si gradisce conoscere.

Risposta del dott. Antonio Romano (Presidente Comitato Tecnico Scientifico SESAMO Nazionale)

La costituzione di una servitù su una parte comune a favore della proprietà privata di un condomino è possibile anche se il proprietario del fondo che viene a beneficiare della servitù (il cosiddetto "fondo dominante") è tra i proprietari del fondo su cui la servitù viene a essere costituita (il cosiddetto "fondo servente").

In ambito condominiale non si applica infatti uno dei principi fondamentali della servitù, ovvero la circostanza dell'appartenenza del fondo a due proprietari diversi (il cosiddetto principio "nemini res sua servit").

Tuttavia, la costituzione della servitù sulle parti comuni dell'edificio richiede, ai sensi dell'art. 1108 comma 3 Cod. Civ, applicabile al condominio in virtù del richiamo di cui all'art. 1139 Cod. Civ., il consenso unanime di tutti i partecipanti al condominio i quali sono titolari della facoltà di disporre del diritto di godimento del bene comune.

Così si è espresso chiaramente il Tribunale Milano, nella sentenza del 26.01.2012 che ha richiamato le sentenze della Corte di Cassazione n. 3865/93 e n. 4840/89.

Quindi, per la costituzione della servitù su parti comuni del condominio occorre l'unanimità dei consensi di tutti i condomini e non solo di quelli eventualmente presenti in assemblea.

Inoltre, la Corte di Cassazione nella sentenza n. 23548 del 9 ottobre 2017 ha precisato un punto importante.

E' vero che Il primo comma dell'art. 1102 Cod. Civ. dispone che “ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purchè non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa”, per cui è ammessa, salvo divieti contenuti nel regolamento di condominio, l'esecuzione di opere sulle parti comuni a cura e spese di un condominio per scopi di proprio esclusivo interesse e per l'esclusiva utilità della propria unità immobiliare.

La Cassazione precisa però che la disposizione disciplina i diritti del condomino rispetto alla cosa comune e non possono essere ignorati i due limiti fondamentali all'uso della stessa per scopi privati (richiamati nello stesso art 1102 Cod. Civ.) ossia il divieto di alterare la destinazione della cosa e il divieto di impedire agli altri partecipanti del condominio di farne parimenti d'uso.

Secondo la Cassazione, infatti, l'uso della cosa comune da parte di un condomino a vantaggio di un bene di sua proprietà  esclusiva, estraneo al condominio, costituisce un abuso, non solo quando alteri la destinazione della cosa, ma anche quando si risolva in un'attività corrispondente all'esercizio di una servitù, poichè si risolve nell'imposizione di fatto di una limitazione di carattere reale al diritto di proprietà, limitazione che non rientra tra le facoltà  del partecipante alla comunione, ma è consentita unicamente con il consenso di tutti i condomini.

La delibera sarebbe quindi radicalmente nulla, perchè secondo la Corte di Cassazione, che si è espressa sull'argomento anche a Sezioni Unite  nella sentenza n. 4806/05, sono nulle (e non solo annullabili), tra le altre, le delibere con oggetto che non rientra nella competenza dell'assemblea e le delibere che incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini.

Il rimedio principale in questi casi sarebbe l'impugnazione della delibera, avviando l'apposito procedimento giudiziario preceduto dal tentativo di mediazione.

Prendendo atto della posizione della giurisprudenza, si può affermare inoltre anche che l’amministratore sia tenuto, a norma dell’articolo 1130 n. 4 Cod Civ, a compiere gli atti conservativi relativi alle parti comuni, agendo anche in giudizio per il ripristino dello stato preesistente.

Dovrebbe quindi essere lo stesso amministratore che si attiva a tutela del condominio.

Potrebbe quindi valere la pena fare un tentativo inviando all'amministratore una raccomandata (magari anticipata via mail o fax) o una PEC con il contenuto di seguito proposto:

"Oggetto: nullità deliberazione assembleare del 07.05.18

Gentile Amministratore, con la presente Le comunico che dall'esame dell’ultimo verbale assembleare non risulta essersi costituita la maggioranza necessaria a deliberare in merito al punto (...) dell'ordine del giorno ("Valutazione proposta del condomino Cervone per la costituzione di una servitù di passaggio di una parte del locale in cui era allocata la ex centrale termica condominiale").

In quella sede non erano infatti presenti tutti i condomini essendo io stesso e i Sig.ri ..... assenti.

Sono pertanto intenzionato a chiedere giudizialmente la pronuncia di nullità della deliberazione assembleare così assunta se non provvederà Lei stesso ad avvertire i Condomini della nullità della stessa.

Le ricordo infatti che la decisione riguardante l'argomento sopra richiamato deve essere assunta all'unanimità dei condomini, come da Giurisprudenza costante.

Ai sensi dell'art 1130 numero 4 Cod Civ, La invito a provvedere immediatamente constestando al Sig. Cervone, nell'interesse del condominio, i lavori avviati dal medesimo.

 


Argomento: ASSEMBLEA
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Domanda: Il condomino (A) che sa di non poter partecipare all'assemblea condominiale ordinaria invia all'amministratore regolare delega a favore del signor (B - non condomino) che partecipa all'assemblea già delegato anche da un altro condomino (C). Alla riunione l'amministratore porta a conoscenza il delegato (B) del ricevimento della delega a suo favore, quest'ultimo però non intende accettare il mandato. Il delegato può rifiutare la delega del condomino A (premetto che non era stato informato dal delegante)?Il Presidente verificata la regolarità delle deleghe pervenute deve comunque prendere in considerazione la delega anche se rifiutata dal delegato?Il condomino A risulta assente o presente per delega?

Risposta del dott. Antonio Romano (Presidente Comitato Tecnico Scientifico SESAMO Nazionale)

Dal punto di vista giuridico, la delega alla partecipazione all'assemblea di condominio configura un rapporto di mandato, per cui al rapporto tra delegante e delegato, in assenza di disposizioni specifiche che il Codice Civile effettivamente non dettaglia, si applicano le norme generali del mandato di cui all’art. 1703 e seguenti Cod Civ, in quanto compatibili (la conferma di questa impostazione arriva da Cass. Civ. sentenza del 25.01.2016, n. 1234).
Applicando quindi la regolazione del rapporto di mandato, ai sensi dell'art 1722 Cod Civ, la rinuncia del mandatario estingue il mandato. La delega quindi non è efficace, il presidente prenderà atto del rifiuto del delegato che verrà verbalizzato e il delegante non risulterà presente all'assemblea.

 

 

• CAMBIO AMMINISTRATORE
Argomento: AMMINISTRATORE
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Domanda: Nel mio condominio desideriamo cambiare amministratore ed abbiamo inviato a lui una raccomandata con ricevuta di ritorno (già ricevuta 1 mese fa e controfirmata) indicando di svolgere l'assemblea entro e non oltre il 30/03/18 mettendo all'ordine del giorno la "Nomina/Revoca dell'amministratore" . Questa raccomandata è stata firmata da 9 persone su 12 ed il bilancio del condominio è stato chiuso il 28/02/18. La data di scadenza è vicina e l'amministratore non si è interessato al momento e non ha eseguito alcuna convocazione; mi confermate che dal giorno 10 Aprile decade in automatico e possiamo autoconvocare l'assemblea noi condominii? (come indicato sull' art.66 de C/C).

RIsposta del dott. Antonio Romano (Presidente Comitato Tecnico Scientifico SESAMO Nazionale)

In effetti, l'amministratore non decade in automatico per la richiesta di convocazione dell'assemblea con ordine del giorno riportante la voce della revoca del suo incarico, anche se tale richiesta è stata firmata dalla maggioranza dei condomini.
La procedura che avete avviato è però proprio corretta: se l'amministratore non provvede, potete certamente convocare l'assemblea voi stessi inviando l'avviso a tutti i condomini; l'ordine del giorno può riportare anche solo la voce relativa alla revoca/nomina dell'amministratore.
L'assemblea, in quel contesto, potrà decidere se comunque rinnovare l'amministratore uscente nel mandato, nominando quindi proprio il medesimo o dichiararne la revoca e nominare un diverso professionista nel ruolo di amministratore di condominio.
Sarebbe opportuno che alla data dell'assemblea fossero già pervenute le offerte dei professionisti che potrebbero succedergli, in modo che non ci si trovi in una fase di proroga del mandato all'amministratore uscente che andrebbe evitata o almeno ridotta ai minimi termini.
In ogni caso, sia per quanto riguarda la revoca dell'incarico all'amministratore uscente che per quanto riguarda la nomina del nuovo amministratore, l'assemblea si deve pronunciare con il voto favorevole della maggioranza dei presenti in assemblea (che devono essere almeno 1/3 dei condomini in seconda convocazione) che rappresentino almeno 500/1000.
L'assemblea convocata dai condomini ai sensi dell'art 66 Disp Att Cod Civ è valida anche senza la partecipazione dell'amministratore.
• DISPOSITIVI PROTEZIONE SCARICHE ATMOSFERICHE
Argomento: DISPOSITIVI PROTEZIONE SCARICHE ATMOSFERICHE
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Domanda: I parafulmini sono obbligatori?  Mi spiego, ogni condominio dovrebbe avere un parafulmine o in tot metri ce ne deve essere uno, oppure non sono obbligatori?

RIsposta del dott. Antonio Romano (Presidente Comitato Tecnico Scientifico SESAMO Nazionale)

"L'obbligo di installare dispositivi di protezione contro le scariche atmosferiche esiste certamente quando nell'edificio si svolgono attività soggette alle norme di protezione per la salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, ai sensi dell'articolo 84 del D. Lgs. 81/2008: il datore di lavoro ha infatti l'obbligo di provvedere affinché gli edifici, gli impianti, le strutture, le attrezzature, siano protetti dagli effetti dei fulmini realizzati secondo le norme tecniche.

Negli altri casi, si fa riferimento al DM 37/2008. L'art 5 comma 2 lettera d) di tale Decreto precisa che gli impianti elettrici ed elettronici nonchè gli impianti di protezione dalle scariche atmosferiche (i parafulmini appunto) sono soggetti a progettazione obbligatoria, da parte di professionista iscritto agli Albi professionali, quando sono installati in edifici di volume superiore a 200 metri cubi.

Come precisa il successivo comma 3 del medesimo articolo, i progetti degli impianti sono elaborati secondo la "regola dell'arte". "I progetti elaborati in conformità alla vigente normativa e alle indicazioni delle guide e alle norme dell'UNI, del CEI o di altri Enti di normalizzazione appartenenti agli Stati membri dell'Unione europea o che sono parti contraenti dell'accordo sullo spazio economico europeo, si considerano redatti secondo la regola dell'arte".

Le norme tecniche CEI EN 62305-1/4 (CEI 81-10/1 - 4) "Protezione contro i fulmini" precisano i criteri di valutazione del rischio, da prendere in considerazione:

a) l'identificazione dell'oggetto da proteggere e le caratteristiche;

b) l'individuazione di tipi di perdita ed i corrispondenti rischi (nel caso di edifici pregevoli trattasi di rischio materiale ovvero di patrimonio insostituibile);

c) la valutazione della necessità di protezione confrontando il rischio derivante con quello tollerabile;

d) la valutazione della convenienza economica della protezione confrontando il costo della perdita con o senza protezione.

Se il rischio derivante è minore del rischio tollerabile (valutato secondo i criteri delle norme tecniche di cui sopra), la protezione contro i fulmini può non essere necessaria e la struttura è definita "autoprotetta". Al contrario, se il rischio derivante è maggiore del rischio tollerabile, la protezione contro i fulmini è necessaria.

In ambito condominiale, le relative spese di installazione di tali impianti vengono deliberate dall'assemblea a maggioranza e ripartite tra i condomini su base millesimale."

 

• Rinnovo incarico Amministratore
Argomento: AMMINISTRATORE
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Domanda

A seguito di un'assemblea condominiale tenutasi ieri sera, ho necessità di un autorevole parere scritto a fronte di quanto sotto riportato:

Nell'ordine del giorno della suddetta assemblea, vi era il punto "nomina amministratore"; i millesimi presenti in assemblea erano 367,941, per cui non era possibile deliberare sul punto stesso. Un condomino presente ha dichiarato che di fatto il condominio non era provvisto di amministratore, in quanto l'incarico dura due anni e l'ultima conferma risaliva al 29/01/2016, e che pertanto avrei dovuto portare i libri in tribunale per la nomina di un amministratore giudiziario. 

Il Presidente dell'assemblea, in accordo con i presenti, al punto suddetto ha fatto riportare sul verbale:

"Viene confermato, salvo verifica, XXXXX quale amministratore del condominio. L'esito della richiesta dell'amministratore al Centro Studi Sesamo verrà trasmessa ai condomini in allegato alla copia del presente verbale".

Vi chiedo, pertanto, di confermarmi o meno se il sottoscritto può ritenersi,come credo,ancora amministratore del condominio, o se il condomino che ha dichiarato la decadenza del sottoscritto ha ragione nel ritenere che debbano essere consegnati in Tribunale i registri per la nomina di un amministratore giudiziario.

Risposta di Antonio Romano  

Il nuovo comma 10 dell'art 1129 Cod Civ conferma la durata annuale dell'incarico. Precisa però che "questo si intende rinnovato per eguale durata": questa disposizione incide profondamente sul regime di proroga, che assume profili completamente diversi a seconda dell'interpretazione della norma.
Se prima della riforma l'incarico dell'amministratore durava un anno e necessitava, per la sua prosecuzione, di una ulteriore delibera assunta con la maggioranza prevista nel comma 2 dell'art 1136 Cod Civ, la nuova regolazione rende evidente che non ci sarà bisogno di una conferma specifica.
L'ordine del giorno non recherà più tendenzialmente l'indicazione "nomina amministratore", ma eventualmente "revoca amministratore". L'amministratore dovrà senz'altro indicare l'argomento all'ordine del giorno se richiesto dai condomini (formalmente ex art 66 Disp Att Cod Civ da almeno due condomini che rappresentino almeno 1/6 dei millesimi).
Trattandosi di un contratto di durata, in mancanza di intenzione contraria, si concreta la volontà dell'assemblea di proseguire nel rapporto, per cui questo prosegue alle stesse condizioni del precedente, con l'adempimento connesso al comma 14 dell'art 1129 Cod Civ che impone all'amministratore, all'atto del rinnovo, di specificare nuovamente comunque, a pena di nullità, l'importo chiesto a titolo di compenso, come pure con gli adempimenti di cui al comma 2 Cod Civ.
In linea di massima, si ritiene che l'obiettivo del legislatore sia stato il superamento del regime di proroga: si tratta infatti di un rinnovo del mandato e non di proroga dei poteri che resta, con una regolamentazione nuova di cui all'art 1129 comma 8 Cod Civ (solo attività urgenti e senza diritto ad ulteriori compensi), nei casi di cessazione dall'incarico.
La riforma ha quindi introdotto per l'amministratore di condominio una stabilizzazione nell'incarico a cui fa da "contrappeso" l'ampliamento delle ipotesi di giusta causa di revoca anche giudiziale di cui al nuovo comma 12 dell'art 1129 Cod Civ.
Diversamente, non avrebbe avuto senso il cambio di testo dell'art 1129 Cod Civ, che nella formulazione previgente affermava che "l'amministratore dura in carica un anno", mentre la nuova formulazione afferma che "l'amministratore dura in carica un anno e si intende tacitamente rinnovato per eguale periodo".
Il testo del comma 10 dell'art. 1129 Cod Civ nella nuova versione non si esprime nel senso di limitare il tacito rinnovo dopo il primo anno ad UN eguale periodo, bensì parla di tacito rinnovo per “eguale periodo”, dunque non solo uno: quindi anche la lettura rigorosa della lettera della norma legittima quella che è l'interpretazione più coerente alle intenzioni del legislatore.
In conclusione.
Perchè l'amministratore si intenda revocato, occorre che l'assemblea deliberi un diniego di rinnovazione, ossia manifesti espressamente la volontà di revocare il mandato all'amministratore: la maggioranza necessaria per il "diniego di rinnovazione" è la stessa maggioranza necessaria per il conferimento del mandato, quindi il voto della maggioranza dei presenti che rappresentino almeno 500/1000.
L'assemblea è validamente costituita, in seconda convocazione, se sono presenti almeno 1/3 dei condomini che rappresentano almeno 333/1000.
Nel caso dell'assemblea in questione, quindi, l'assemblea era validamente costituita, anche se non in grado di votare sul "diniego di rinnovazione".
Questo significa, però, che l'amministratore prosegue il proprio mandato con pieni poteri.
In ogni caso, l'amministratore non può avviare il procedimento di nomina giudiziale: anche nell'ipotesi in cui fosse stato espressamente dichiarato non rinnovato nel mandato - come in effetti non è accaduto nel caso in questione - sono i condomini (anche uno solo) a dover avviare il procedimento di nomina giudiziale, perchè l'amministratore provvede al riguardo solo nell'ipotesi in cui è volontariamente dimissionario (e se l'assemblea non ha nominato un altro professionista).
Infatti l’art. 1129 comma 1 Cod Civ lo autorizza al ricorso all’Autorità Giudiziaria nel caso in cui l’assemblea non provveda alla nomina (se i condomini sono più di otto), ma l’amministratore non è autorizzato a rivolgersi all’Autorità Giudiziaria in qualsiasi caso di mancata conferma, Bensì, stante il tenore della norma, solo nel caso in cui sia egli stesso dimissionario.
• Compenso amministratore revocato
Argomento: AMMINISTRATORE
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Domanda

Quale compenso spetta all'amministratore revocato?

Risposta di Antonio Romano  

Anche al di là dei casi di irregolarità più o meno gravi, l’assemblea è sempre libera di anticipare la fine del mandato all'amministratore: d'altra parte, proprio perchè il rapporto non viene interrotto in conseguenza di comportamenti scorretti commessi dall'amministratore stesso e più o meno dannosi per il condominio, al professionista spetta tutto il compenso pattuito.
Di per sè, per revocare l’amministratore di condominio non ci sarebbe nemmeno bisogno di fornire spiegazioni o motivazioni.
L'art. 1129, comma 11 Cod Civ dispone infatti che "la revoca dell'amministratore può essere deliberata in ogni tempo dall'assemblea…".
I condomini possono quindi sempre decidere di revocare l'amministratore nominato, anche a prescindere dalla sussistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo alla base dell'interruzione del rapporto, basta che la revoca sia indicata nell'ordine del giorno in sede di convocazione dell'assemblea e che questa deliberi in tal senso con lo stesso quorum previsto per la nomina dell'amministratore (con riferimento all'art. 1136, comma 4, Cod Civ con il voto favorevole della maggioranza dei presenti in assemblea che rappresentino almeno 500/1000).
L'assemblea convocata per la revoca delibera peraltro anche in ordine alla nomina del nuovo amministratore (art. 1129, comma 10, Cod Civ).
In caso di revoca senza giusta causa, però, l’amministratore ha diritto di ricevere il compenso per l’intero periodo del rapporto inizialmente pattuito: il conferimento dell’incarico ha infatti durata annuale ed ha vincolo contrattuale. Visto il rinvio alle norme sul mandato operato dall’articolo 1129, comma 15, del Codice Civile, ai rapporti fra il condomino ed il suo rappresentante si applica l’art. 1725 Cod Civ in materia di mandato, per cui “la revoca del mandato oneroso, conferito per un tempo determinato o per un determinato affare, obbliga il mandante a risarcire i danni, se è fatta prima della scadenza del termine o del compimento dell'affare, salvo che ricorra una giusta causa”.
Sarebbe tuttavia valido un patto specifico per cui, all’atto della nomina, l’assemblea si riserva il diritto di proporzionare la riduzione del compenso all'amministratore in caso di revoca.
In assenza però di tale particolare accordo, l'amministratore non ha modo di opporsi alla revoca, ma ha diritto a ricevere il suo emolumento per intero.
• Autoclave ripartizione spese
Argomento: AUTOCLAVE
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Domanda

Un condominio ha necessità di sostituire l'attuale impianto autoclave, con un sistema ad inverter, più innovativo ed anche più costoso. La spesa è stata deliberata con un quorum di 940 millesimi. Il regolamento di condominio non ha una tabella specifica per le spese autoclave, pertanto a mio avviso deve essere utilizzata la tabella relativa alla proprietà, mentre  un condomino ribadisce che la spesa deve ripartita in parti uguali, in quanto l'impianto serve a tutti gli appartamenti in maniera identica. Nel corso dell'assemblea non sono state specificate le modalità di ripartizione. Qual è il giusto criterio da adottare?

Risposta di Antonio Romano  

In assenza di specifiche previsioni nel regolamento contrattuale di condominio, il criterio corretto di riparto delle spese per l'installazione dell'impianto autoclave si basa sul principio di cui all'art 1123 Cod Civ per cui, come è noto, "Le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio ... sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione".
Quindi, se il regolamento contrattuale non prevede un criterio specifico di ripartizione delle spese (ad esempio appunto la ripartizione in parti uguali) per l'installazione di questo manufatto, il criterio corretto è, come giustamente da Lei indicato, proprio il criterio millesimale "di proprietà" senza correttivi.
Peraltro devono contribuire tutti i condomini, compresi coloro che non risentono di carenze idriche e che quindi non beneficiano in modo specifico dell'intervento dell'autoclave (Cassazione sentenza n. 1398/98).
• Installazione ascensore in edificio condominiale che ne è sprovvisto
Argomento: ASCENSORE
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Domanda

Come procedere all'installazione di un elevatore in un edificio condominiale che ne è sprovvisto? E come ripartire le spese tra coloro che lo vogliono installare?

Risposta di Antonio Romano  

L'installazione in un edificio in condominio di un ascensore di cui prima esso era sprovvisto si ritiene costituisca un'"innovazione", ai sensi dell'art. 1120 primo comma Cod Civ, con la conseguenza che la relativa deliberazione deve essere presa con la maggioranza di cui al quinto comma dell'art. 1136 Cod Civ,  secondo cui l'approvazione deve avvenire con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti in assemblea (dopo la riforma del condominio il quorum per teste non fa più riferimento alla maggioranza dei condomini) e i due terzi del valore dell'edificio. Nel caso in cui vi siano "barriere architettoniche" di cui l'impianto ascensore consente il superamento, la maggioranza scende e si richiede quindi il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti in assemblea che rappresentino almeno 500/1000.
 
L'installazione dell'ascensore in un condominio che ne sia sprovvisto, può però essere attuata, riflettendo un servizio suscettibile di separata utilizzazione, anche a cura e spese di alcuni condomini soltanto, purché sia fatto salvo il diritto degli altri di partecipare in qualunque tempo ai vantaggi dell'innovazione, contribuendo nelle spese di esecuzione dell'impianto ed in quelle di manutenzione dell'opera.
 
Sono innovazioni vietate, che, quindi, devono essere approvate dall'unanimità dei condomini, soltanto quelle che compromettono la facoltà di godimento di uno o di alcuni condomini in confronto degli altri, mentre non lo sono quelle che compromettono qualche facoltà di godimento per tutti i condomini. A meno che il danno che subiscono alcuni condomini non sia compensato dal vantaggio. Pertanto, qualora, ad esempio, al posto della tromba delle scale e dell'andito corrispondente al piano terreno, si immette un impianto di ascensore, a cura e spese di alcuni condomini soltanto, il venir meno dell'utilizzazione di dette parti comuni dell'edificio nell'identico modo originario non contrasta con la norma dell'art. 1120 Cod Civ, perché, se anche resta eliminata la possibilità di un certo tipo di godimento, al suo posto se ne offre uno diverso e di contenuto migliore. La posizione dei dissenzienti è salvaguardata dalla possibilità per costoro di entrare a far parte della comunione del nuovo impianto. In tal modo si è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza n. 2696/75.
 
Quando l'ascensore viene installato successivamente per iniziativa di tutti o parte dei condomini, ovvero da uno solo dei condomini, esso appartiene in proprietà al condomino o ai condomini che lo hanno impiantato a loro spese, "purché sia fatto salvo il diritto degli altri di partecipare in qualunque tempo ai vantaggi della innovazione, contribuendo nelle spese di esecuzione dell'impianto ed in quelle di manutenzione dell'opera" (Cass. sentenza n. 20902/2010).
 
La Cassazione mantiene quindi nel tempo il proprio orientamento possibilista a favore del gruppo di condomini che desideri mettere in esercizio l'impianto in questione, condomini che non devono necessariamente ricevere l'autorizzazione dalla maggioranza.
 
Occorre fare attenzione, oltre ad evitare danni al fabbricato (compreso il decoro architettonico negli immobili di particolare pregio), ad eventuali divieti contenuti nel regolamento "contrattuale" del condominio, ossia il regolamento condominiale recepito nel rogito o da questo richiamato. Talvolta il regolamento sottopone la possibilità per i singoli condomini di effettuare opere sulle parti comuni, pur ammesse dall'articolo 1102 Cod Civ, all'approvazione dell'assemblea: in questo caso, ma solo in questo caso, l'approvazione dell'assemblea che autorizza i singoli condomini ad eseguire opere sulle parti comuni a propria cura e spese diventa effettivamente necessaria e l'assemblea potrebbe negare validamente il proprio consenso, mentre se il regolamento non si esprime al riguardo, l'eventuale delibera sfavorevole alla determinazione dei condomini "promotori" va ritenuta impugnabile.
 
Per quanto riguarda la ripartizione delle spese, se l'impianto viene installato dal condominio, ossia tutti intendono partecipare alla spesa, il riparto dovrebbe avvenire su base millesimale di proprietà, senza correzione in base all'altezza di piano, come sarà invece per le spese di esercizio.
 
Se invece viene installato da parte di alcuni condomini, questi possono scegliere il criterio ritenuto più opportuno. Potrebbero seguire il criterio millesimale, sommando i millesimi dei soli condomini interessati e utilizzando questa somma come divisore del totale delle spese, moltiplicando poi il risultato per i millesimi di ciascuno.
 
Oppure potrebbero procedere ad una divisione in parti uguali. L'accordo in questo senso, in quanto patto che può beneficiare della "clausola di cedevolezza" contenuta nell'art 1123 Cod Civ, prevarrebbe sul criterio millesimale previsto comunque come riferimento dal medesimo art 1123 Cod Civ.
• Obbligo di pagamento degli oneri condominiali per proprietario che non vive nell'immobile
Argomento: SPESE
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Domanda

Sono proprietaria di un appartamento in una casa di tre abitazioni compresa la mia. Le altre due sono di proprietà di una famiglia: un appartamento è abitato dalla madre l'altro era abitato dalla figlia che da 5 anni vive altrove. Le spese condominiali vanno comunque addebitate anche alla figlia che si è sempre uniteralmente esentata dalla sua quota? Il contatore è intestato a me e quindi sono io a pagare anche per lei.

Risposta di Antonio Romano  

Le spese condominiali, ossia le spese necessarie per la conservazione ed il godimento delle parti comuni dell'edificio, per le prestazioni dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza, sono sempre sostenute dai condomini proprietari in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno e sono quindi sempre a carico di tutti, a meno che nei rogiti o in allegato ai medesimi non vi siano diversi accordi.

La circostanza che uno dei proprietari non abbia contribuito finora, se non vi sono accordi formali, non cambia nulla nei rapporti tra i proprietari, nè è rilevante che uno dei proprietari non viva nel condominio.

Se la figlia è proprietaria, è quindi certamente tenuta a partecipare alle spese.

Se la proprietà delle altre due unità immobiliari è invece comune a madre e figlia, i due comproprietari sono obbligati in solido verso il condominio.

• Sicurezza: condomino sale sul tetto per lavori
Argomento: SICUREZZA SUL LAVORO
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Domanda

Sono proprietaria di un appartamento in un condominio di n.6 appartamenti in provincia di Reggio Emilia, la questione sulla quale chiedo il vostro consiglio è la seguente: uno dei proprietari ha l'abitudine di andare sul tetto legandosi ad una semplice corda che annoda alla balaustra delle scale condominiali. Il tetto non è provvisto di linea vita e il soggetto in questione è un pensionato. Quale responsabilità hanno gli altri proprietari nel caso in cui questo individuo si facesse male durante una delle sue escursioni sul tetto (o peggio ancora cadesse)? La legge prevede la possibilità di esentare gli altri proprietari da ogni responsabilità? potremmo farci firmare dal soggetto una dichiarazione in cui è consapevole dei suoi rischi e ci solleva da responsabilità civili/penali ecc?

Risposta di Antonio Romano  

La situazione che ci ha descritto è effettivamente piuttosto problematica.

Da un lato, infatti, il condomino "coraggioso" esegue opere su una porzione immobiliare che è anche sua proprio in quanto condomino, magari senza alcuna autorizzazione nè esplicita nè implicita da parte degli altri condomini che potrebbero anche non essere al corrente della situazione.

In questo caso, difficilmente la posizione del condominio può essere ricondotta a quella del "committente" di un contratto d'opera o di appalto con gli obblighi relativi in tema di sicurezza sul lavoro e nei cantieri (art 90 D Lgs 81/08) e con le responsabilità di cui all'art 2055 Cod Civ. nel caso di danno a terzi.

Basta poco però, perchè i condomini siano ritenuti tutti responsabili sia con riferimento alla normativa alla sicurezza sul lavoro, che nel caso di danno ad altri condomini o a estranei.

Non occorre infatti la stipula di un contratto scritto di opera o appalto per essere ritenuti committenti, nè occorre un formale affidamento di incarico per rivestire la qualifica di responsabile dei lavori.

Non sono infatti mancati casi in cui la Magistratura ha ritenuto del tutto irrilevante che il soggetto che si è assunto l'incarico di "tenere d'occhio" lo svolgimento dei lavori non fosse il formale direttore dei lavori, affermando che "la responsabilità per l'omessa adozione delle cautele antinfortunistiche incombe su chi dirige in concreto i lavori, indipendentemente da ogni posizione o qualifica formale", e perciò "egli era tenuto a vigilare sul rispetto delle norme antinfortunistiche, che sono state però del tutto violate...". (Cassazione Penale n. 35021/09)

Del resto la modalità di esecuzione lavori “in economia”, ossia il caso in cui opere di modesta entità vengano eseguite direttamente dal committente, con proprie maestranze, dipendenti, o mediante affidamento delle singole lavorazioni a lavoratori autonomi, talvolta scelta dal committente privato per l’esecuzione dei lavori edili, non lo esonera dalle responsabilità connesse all’adempimento dei propri obblighi in materia di sicurezza, come pure da responsabilità per danni a terzi, ma anche in materia di regolarità contributiva.

Non sono da trascurare nemmeno gli aspetti relativi al rapporto con la pubblica amministrazione, quando le opere richiedano l'invio anche solo della comunicazione di inizio lavori.

Occorre peraltro ricordare che una delle prime responsabilità del committente è proprio connessa alla scelta del soggetto incaricato dell'esecuzione dei lavori, che deve essere adeguato rispetto alla complessità dei lavori commissionati.

Quindi, se il condomino accede al tetto di propria iniziativa per eseguire lavori che nessuno gli ha richiesto e senza avvertire nessuno è un conto, ma se si tratta di una situazione nota di cui i condomini si avvantaggiano o peggio ancora se i condomini risultano, anche solo con un comportamento concludente, aver incaricato il condomino dell'esecuzione di opere anche apparentemente semplici (figuriamoci poi se si tratta di contesti pericolosi, come i lavori in quota), si assumono tutte le responsabilità sia di tipo amministrativo, che civile, che penale.

In questo caso una dichiarazione liberatoria del condomino in questione non sarà sufficiente.

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Ulteriore Domanda

In questo caso nessuno dei proprietari ha mai chiesto al condomino di eseguire alcun lavoro...le escursioni sul tetto vengono effettuate sempre senza avvisare nessuno o concordare nulla.

Sono consulente in sicurezza sul lavoro e conosco molto bene le responsabilità in caso di appalti o situazioni similari, ma non è questo il nostro caso.

A questo punto, da quanto mi dice, la dichiarazione firmata dal condomino potrebbe essere una ulteriore forma di tutela per gli altri proprietari, giusto?

Risposta di Antonio Romano  

La dichiarazione firmata dal condomino a mio avviso non cambia l'assetto delle responsabilità, anzi per certi versi potrebbe anche rendere la situazione più problematica per il condominio che a quel punto sarebbe piuttosto difficile definire estraneo alla vicenda, in quanto la ricezione della dichiarazione predisposta dal condomino "coraggioso" legittima il ritenere che il condominio si sia effettivamente comportato come committente di fatto.

Probabilmente, sarebbe opportuno che, al contrario, il condominio diffidasse il condomino "coraggioso" dall'eseguire lavorazioni sulle parti comuni, avvertendolo che, violando la diffida, lo stesso condomino si verrebbe ad assumere tutte le responsabilità connesse e che comunque, ai sensi dell'art. 1134 Cod Civ, non verrebbe rimborsato delle spese sostenute.


Argomento: LASTRICO SOLARE
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Domanda del 01/03/2017

Cortesemente -se posso- avrei bisogno di un Vostro parere autorevole in materia di regolamento condominiale. Questi i fatti: Mia madre è proprietaria di un appartamento (costruito nel 1992) con un terrazzo (ad uso esclusivo) che funge da copertura dell’edificio condominiale. Tale lastrico (mai rifatto) presenta la pavimentazione completamente sollevata con diverse piastrelle rotte (per vetustà). A causa di queste condizioni ogni qualvolta ci sono forti temporali il soffitto del nostro salone (sottostante il suddetto lastrico) viene infiltrato dall’acqua piovana. Ho segnalato il fatto -tramite raccomandata A/R (rimasta ignorata)- all’Amministratore di condominio, al fine di eseguire i lavori di riparazione e/o ricostruzione del lastrico solare secondo il Codice Civile art. 1126. L’Amministratore sostiene -verbalmente- che, trattandosi di problemi causati dalla mancata manutenzione ordinaria da parte nostra e concernenti la sola pavimentazione del terrazzo, le spese di rifacimento dello stesso siano interamente a carico nostro. E’ corretto quanto sostiene l’Amministratore?. A me risulta che, sia i lavori di manutenzione ordinaria, sia i lavori di manutenzione straordinaria dei lastrici solari ad uso privato, siano sempre da ripartire secondo l’art. 1126 del Codice Civile (ovvero due terzi per i condomini ed un terzo per il proprietario del lastrico), tranne nel caso in cui il danno provocato non sia imputabile soltanto al proprietario del terrazzo (per es. per grave incuria, o nel porre ostacoli all’Amministratore nel svolgere i controlli necessari del lastrico solare, in quanto custode delle parti comuni dell’intero edificio). Faccio presente che di comunicazioni scritte ne abbiamo già prodotte diverse (in totale cinque) tutte rimaste inevase. L’Amministratore non è “obbligato” a rispondere per iscritto come custode del Condominio e in quanto tale tenuto a provvedere alla conservazione delle parti comuni dell’edificio ?. Infine, potete fornirmi ulteriori riferimenti normativi in materia di lastrico solare, oppure sentenze -passate in giudicato- da poter menzionare all’Amministratore ?

Risposta di Antonio Romano del 03/03/2017

 In linea di massima, il lastrico solare - contenuto nell'elenco delle parti comuni di cui all'art 1117 Cod Civ - è assoggettato al regime giuridico del tetto e la ripartizione delle spese di manutenzione segue il criterio dell'art 1123 Cod Civ (tabella millesimale di proprietà senza correttivi).

L'art 1126 Cod Civ disciplina il caso particolare in cui il lastrico solare sia "di uso esclusivo": la natura giuridica del diritto d'uso è irrilevante, ma quello che conta ai fini dell'applicabilità dello speciale criterio di ripartizione della spesa di conservazione del lastrico solare di cui all'art. 1126 Cod Civ (1/3 a carico di chi ne ha l'uso esclusivo, 2/3 a carico dei condomini che ne sono coperti) è che uno o più condomini lo possano utilizzare ad esclusione degli altri. Questa è proprio la Vostra situazione.

La questione della responsabilità per i danni causati dalla copertura è stata per lungo tempo oggetto di dibattito.

La soluzione è venuta proprio pochi mesi fa dalla sentenza della Corte di Cassazione pronunciata a Sezioni Unite il 10 maggio 2016 n. 9449.

Secondo tale sentenza, in assenza di prova della  riconducibilità del danno a fatto esclusivo del titolare del diritto di uso esclusivo del  lastrico solare o di una parte di questo, e tenuto conto che l'esecuzione di opere di  riparazione o di ricostruzione - necessarie al fine di evitare il deterioramento del lastrico o  della terrazza a livello e il conseguente danno da infiltrazioni - richiede la necessaria  collaborazione del primo e del condominio, il criterio di riparto previsto per le spese di  riparazione o ricostruzione dall'art 1126 Cod Civ costituisce un parametro legale  rappresentativo di una situazione di fatto, correlata all'uso e alla custodia della cosa, valevole anche ai fini della ripartizione del danno cagionato dalla  cosa comune che, nella sua parte superficiale, sia in uso esclusivo ovvero sia di proprietà  esclusiva, è comunque destinata a svolgere una funzione anche nell'interesse dell'intero  edificio o della parte di questo ad essa sottostante.

La Corte ha fissato quindi il seguente principio di diritto: "in tema di condominio negli  edifici, allorquando l'uso del lastrico solare non sia comune a tutti i condomini, dei danni  che derivino da infiltrazioni nell'appartamento sottostante rispondono sia il proprietario o  l'usuario esclusivo del lastrico solare (o della terrazza a livello), in quanto custode del bene  ai sensi dell'art. 2051 Cod Civ, sia il condominio, in quanto la funzione di copertura dell'intero  edificio, o di parte di esso, propria del lastrico solare (o della terrazza a livello), ancorchè  di proprietà esclusiva o in uso esclusivo, impone all'amministratore l'adozione dei controlli  necessari alla conservazione delle parti comuni (art. 1130 Cod Civ, comma 1, n. 4) e  all'assemblea dei condomini di provvedere alle opere di manutenzione straordinaria (art.  1135 Cod Civ, comma 1, n. 4). Il concorso di tali responsabilità, salva la rigorosa prova  contraria della riferibilità del danno all'uno o all'altro, va di regola stabilito secondo il  criterio di imputazione previsto dall'art. 1126 Cod Civ, il quale pone le spese di riparazione o di  ricostruzione per un terzo a carico del proprietario o dell'usuario esclusivo del lastrico (o  della terrazza) e per i restanti due terzi a carico del condominio".

Quindi:

- Il titolare del diritto di uso esclusivo è effettivamente responsabile dei danni causati dalla copertura, secondo quanto prevede l'art 2051 Cod Civ;

- tuttavia non solo tale soggetto risponde dei danni dovuti alle infiltrazioni, perchè la Corte ha dichiarato la responsabilità concorrente del condomìnio in base alla norma di cui all’art 1130 Cod Civ nell’ipotesi in cui l’amministratore ometta di attivare gli obblighi conservativi delle cose comuni su di lui gravanti ai sensi dell’art. 1130 primo comma n. 4 Cod. Civ., ovvero nel caso in cui l’assemblea non adotti le determinazioni di sua competenza in materia di opere di manutenzione straordinaria, ai sensi dell’art. 1135 primo comma n. 4 Cod. Civ.;

- il parametro di divisione delle spese di risanamento della copertura, come pure quello relativo alla ripartizione degli oneri dovuti al risarcimento del danno subito dai proprietari degli appartamenti sottostanti a causa delle infiltrazioni resta sempre di cui all’art. 1126 Cod Civ. (1/3, 2/3).

• Impianto di derattizzazione: è innovazione?
Argomento: INNOVAZIONI
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Domanda
 
Uno dei punti all'ordine del giorno era l'approvazione del bilancio preventivo. Tra le voci inserite nel bilancio preventivo vi era "disinfestazione e derattizzazione". La disinfestazione è un'attività svolta regolarmente negli anni, mentre la derattizazione è stata aggiunta quest'anno in quanto alcuni condomini hanno visto dei roditori che vagavano nel condominio e, a quanto sembra, una condomina si è trovata un piccolo topolino sul balcone di casa. Nel momento della discussione, un condomino ha
sollevato un'obiezione in quanto tale spesa (derattizazione) non poteva essere deliberata "in quanto si trattava di innovazione e non c'era il quorum per deliberare" (millesimi presenti in assemblea 370,43)
 
Un'altra obiezione sollevata è stata che " qualsiasi attività di manutenzione, tra cui verniciatura delle panchine arruginite, piuttosto che la verniciatura del cancello pedonale o ringhiera di confine, è da considerarsi manutenzione straordinaria e quindi oggetto di delibera con i millesimi previsti per legge, e che non è possibile eseguire alcun tipo di lavoro se prima non ci sono tutti i soldi in cassa, come previsto dalla normativa vigente in materia condominiale".
 
Alla luce di quanto sopra, avrei necessità di un vostro parere scritto per:
1) L'installazione di un impianto di derattizazione è da considerarsi innovazione?
2) Piccoli lavori di minuto mantenimento (vedi sopra) sono da considerarsi manutenzione straordinaria?
 
Risposta di Antonio Romano

In effetti il Codice Civile distingue tra innovazioni, innovazioni che modificano la destinazione d'uso, manutenzioni ordinarie, manutenzioni straordinarie e manutenzioni straordinarie di notevole entità.

Il Codice Civile distingue questi concetti in vario modo, per quorum deliberativo, per competenza, per procedimento di approvazione, ma effettivamente non li qualifica.

Questa mancanza, che non è stata colmata dalla riforma del condominio, che, anzi, se possibile l'ha aggravata, crea molti problemi nella vita condominiale.

Ecco una piccola guida per orientarsi:

1 - le "innovazioni"  mutano la destinazione del bene o la funzionalità del servizio comune;

2 - le "manutenzioni" (definibili come “complesso delle revisioni e delle operazioni di ispezione e di messa a punto o di ripristino”) possono anche modificarlo, ma comunque lo conservano alla sua finalità, sia che lo mantengano solo in efficienza così come è, sia che lo migliorino o lo rinnovino.

Tutti gli interventi che Lei ha descritto (derattizzazione, verniciatura di cancelli o altra ferramenta, verniciatura delle panchine) sono quindi certamente interventi di manutenzione e non sono innovazioni.

Per quanto riguarda la distinzione tra manutenzione ordinaria e straordinaria, possiamo basarci sul DPR 380/01 (Testo unico dell’edilizia) secondo il quale sono "manutenzione ordinaria" "gli interventi edilizi che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti", mentre sono "straordinarie" "le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche delle destinazioni di uso” (art. 3 primo comma).

In ambito condominiale, in primo luogo devono considerarsi straordinari tutti quegli interventi che anche in relazione alla spesa da sostenersi non sono considerabili preventivabili, ne tanto meno erano stati preventivati all’inizio dell’anno di gestione, mentre sono interventi straordinari quelli che, esulando dall’ordinaria amministrazione, servono a conservare l’immobile condominiale in buono stato.

Così infatti Cassazione Civile, sentenza del 23.12.2011 n. 28679, per cui "Per ordinaria manutenzione si intendono gli interventi che si ripetono normalmente e che è necessario effettuare periodicamente ai fini della conservazione e del buon andamento del bene. Per straordinaria manutenzione si intendono quegli interventi aventi carattere di eccezionalità resi necessari a seguito di eventi imprevisti quali quelli determinati da caso fortuito e forza maggiore."

Ancora Cassazione Civile, sentenza del 10.12.13 n. 27540, qualifica la manutenzione ordinaria come "quella diretta ad eliminare guasti della cosa o che comunque abbia carattere di periodica ricorrenza e di prevedibilità", manutenzione straordinaria come "quelle riparazioni non prevedibili e di costo non modico" ovvero anche quelle "di una certa urgenza e di una certa entità necessarie al fine di conservare o di restituire alla cosa la sua integrità ed efficienza".

Malgrado lo sforzo della Corte è chiaro che esistono molte "zone grigie": verosimilmente gli interventi da Lei descritti sono da ritenersi "manutenzione straordinaria".

Indubbiamente quindi vanno sottoposti alla competenza dell'assemblea per la decisione: consideri però che la maggioranza non cambia, perchè verosimilmente non si tratta di manutenzioni straordinarie di "notevole entità", per cui il quorum deliberativo resta (in seconda convocazione) il voto favorevole della maggioranza dei presenti che rappresentino almeno 1/3 dei millesimi (333/1000).

• Amministratore di condominio e agente immobiliare
Argomento: AMMINISTRATORE
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Domanda
 
E' compatibile l'attività di amministratore di condominio con l'attività di agente immobiliare?
 
Risposta di Antonio Romano

La questione della compatibilità tra l'attività di amministratore di condominio e quella di agente immobiliare è da tempo oggetto di dibattito.

In molti casi, del resto, l'interesse per la gestione di condomini deriva dalla contiguità dell'attività svolta in altri settori, che in vario modo ruotano intorno al patrimonio immobiliare, con la specifica attività di amministratore condominiale.

E’ il caso di molte professioni tecniche, basti pensare ai numerosi architetti o geometri che si occupano della gestione di condomini.

I casi di contiguità tra altre professioni e l'attività di amministratore condominiale riguarda del resto anche altri ambiti, come accade ad esempio per avvocati, giuristi, ragionieri.

Si può senza dubbio affermare che sia un bene tale situazione, perchè l'attività di amministratore di condominio è un'attività multiforme e complessa e non è certo un problema se accade che taluno affronti tale attività con il bagaglio di competenze che la propria esperienza in altri ambiti gli abbia consentito di maturare.

Va da sè che la legge (art 71 bis Disp Att Cod Civ nel testo modificato dalla Riforma del condominio) è chiara al riguardo: qualsiasi sia la qualifica dell'aspirante amministratore, questi deve comunque seguire un corso di formazione iniziale specifico. Si tratta di una norma opportuna, perchè l'attività di amministratore di condominio ha proprie particolarità e riguarda una varietà di ambiti che non sono oggetto dei programmi di studio di altri percorsi formativi.

Esiste però talvolta un problema di compatibilità con lo svolgimento di altre professioni: in alcuni casi può essere che ci si trovi a dover scegliere tra l'attività di amministratore condominiale ed altre attività professionali.

Il caso più controverso è se l'attività di amministratore di condominio sia compatibile con quella di agente immobiliare.

Si può dire che di per sè l’attività di amministratore non sia incompatibile con quella di agente immobiliare.

L’incompatibilità non nasce, infatti, dalla tipologia dell’attività, ma dalla forma giuridica con cui essa viene svolta e dalla sua prevalenza rispetto all'attività principale.

Il problema deriva dal testo della legge n. 39/1989, modificata dalla legge n. 57/2001. All'articolo 5, comma 3 si stabilisce che: "l'esercizio dell'attività di mediazione è incompatibile: a) con l'attività svolta in qualità di dipendente da persone, società o enti, privati e pubblici, ad esclusione delle imprese di mediazione; b) con l'esercizio di attività imprenditoriali e professionali, escluse quelle di mediazione comunque esercitate".

Il Ministero dello Sviluppo Economico si è pronunciato più volte sulla questione: con la nota n. 2447 del 12 gennaio 2015, il Ministero ha interpretato la normativa nel senso più favorevole, per cui il mediatore immobiliare può svolgere l’attività di amministratore condominiale, anche in maniera abituale, purché non si tratti di vera e propria attività d’impresa.

In un primo tempo (Circolare n. 554611 del 2003) il Ministero aveva stabilito che: “… non rientrando l’attività di amministratore di condominio fra quelle descritte al comma 3 dell’art. 5 della Legge n. 39/1989, come modificato dall'art. 18 della Legge 57/2001, non sembra sussistere incompatibilità con l’attività di mediazione”. Successivamente, lo stesso Ministero aveva assunto invece una posizione più restrittiva: nella nota n. 0154593 del 24 settembre 2013, il MiSE aveva ritenuto di precisare l’incompatibilità tra la professione di mediatore immobiliare e quella di amministratore di condominio, salvo che quest’ultima non fosse svolta "saltuariamente o a titolo di passatempo". Era al contrario da ritenersi vietata al mediatore immobiliare ogni altra attività, quindi anche quella quella di amministratore di condominio, esercitata con "un’organizzazione anche minima di mezzi, al fine di trarne un utile, svolta con criteri di professionalità".

Nella nota del 2015, invece, il MiSE precisa che "... si fa presente che, ai sensi della normativa sopra richiamata, la sola attività il cui svolgimento è ad oggi consentito in modo congiunto a quella di agente di affari in mediazione è quella di amministrazione di condominio, ove non svolta in forma assolutamente ed inequivocabilmente di impresa (cioè quando non comporti un ineludibile obbligo di iscrizione al Registro delle Imprese)."

L'attività di amministratore di condominio non deve del resto essere svolta necessariamente in forma di impresa, come precisa lo stesso MiSE nella nota del 2013 in cui legge l'art 2188 Cod Civ e l'art 9 del DPR 581/95 per cui "Sono obbligati alla denuncia al REA: a) gli esercenti tutte le attività economiche e professionali la cui denuncia alla camera di commercio sia prevista dalle norme vigenti ..." confrontandoli con il nuovo testo dell'art 71 bis Disp Att Cod Civ in cui non si rinviene alcun riferimento al Registro delle Imprese o al REA.

In conclusione, si può affermare che l'agente immobiliare (persona fisica) possa svolgere anche l'attività di amministratore di condominio, purchè, per tale attività, non sia tenuto a iscriversi al Registro delle Imprese.

Quindi, una società, essendo tenuta all'iscrizione al Registro delle Imprese, non potrà esercitare le due attività contemporaneamente.

Invece, l'agente immobiliare potrà anche essere amministratore di condominio, ricevendo il mandato in proprio.

• Formazione obbligatoria
Argomento: AMMINISTRATORE
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Domanda
 
Cortesemente chiarisce gli aspetti che riguardano il rapporto tra il condominio e l'Amministratore di condominio per quanto riguarda la formazione obbligatoria?
 
Risposta di Antonio Romano

L'aggiornamento professionale degli amministratori di condominio è oggi una realtà consolidata.

Anche la nostra e vostra Associazione quest'anno farà, come già negli anni scorsi, la sua parte nel fornire ai propri soci questo importante strumento, mettendo gratuitamente a disposizione dei propri iscritti un corso di aggiornamento accessibile on line da ufficio o da casa elaborato dal nostro Comitato Tecnico Scientifico nel rispetto delle regole ministeriali.

In effetti, sia la Legge 4/2013 che l'art. 71 bis Disp Att Cod Civ dispongono che per svolgere l'attività di amministratore di condominio sia obbligatorio seguire, con periodicità annuale, corsi di aggiornamento in materia di amministrazione condominiale: lo scopo di queste disposizioni è quello di garantire elevati standard di prestazione professionale.

Nessuna norma però dispone specificamente nell'ipotesi in cui per qualche motivo l'amministratore non si sia aggiornato costantemente: alcuni professionisti che nel primo periodo di applicazione delle nuove regole hanno avuto difficoltà ad adempiere all'obbligo di aggiornamento si sono posti questo problema, spesso su sollecitazione dei propri amministrati.

Per le associazioni iscritte nell'elenco tenuto dal Ministero dello Sviluppo Economico, tra cui Sesamo, questa situazione rende evidente il ruolo che le Associazioni medesime svolgono a tutela del pubblico, nello spirito e nella lettera della L 4/2013 sulle professioni non organizzate in ordini.

Occorre distinguere tra l'ipotesi dell'amministratore che non ha inteso l'importanza dell'obbligo di aggiornamento professionale, mancanza censurabile peraltro anche dall'organo disciplinare dell'Associazione, da altre situazioni.

Il comportamento del professionista che ha partecipato ai corsi di formazione periodica in modo sistematicamente non costante negli anni, potrebbe ed anzi dovrebbe essere valutato diversamente rispetto alla condotta di chi avesse saltato una sola annualità per validi motivi.

A livello normativo, in assenza di specifici riferimenti, riteniamo che la questione sia da considerare basandosi sull'articolo 1129 Cod Civ.

In effetti, l’elencazione contenuta nel comma 12 di tale articolo relativa ai casi di “gravi irregolarità” è meramente esemplificativa e il concetto di “grave irregolarità” potrebbe anche essere riferito alla violazione dell'obbligo di aggiornamento continuo.

Proprio l'ampiezza di tale concetto consente al Giudice, in sede di decisione sul ricorso per la revoca giudiziale dell'amministratore, di attribuire “il giusto peso” a condotte differenti.

In questo caso, si impone infatti una valutazione caso per caso: facendo riferimento alla condotta complessiva dell’interessato, va ritenuto revocabile il mandato di chi abbia svolto l’attività di formazione periodica in modo tale da non garantire il possesso della necessaria preparazione, obiettivo dell’aggiornamento annuale obbligatorio.

E' facile peraltro che la situazione si verifichi in particolare con riferimento al 2014.

In effetti, il 2014 è stato un anno particolare: l’obbligo di aggiornamento professionale data dall’entrata in vigore della legge di riforma del condominio (L 220/2012) e quindi dal 18 giugno 2013.

Appena qualche mese dopo, il 24 dicembre 2013 è entrato in vigore il DL 145/13 “Destinazione Italia” che ha introdotto la previsione di un apposito Decreto Ministeriale che avrebbe disposto riguardo alle caratteristiche dei corsi sia di formazione iniziale che di aggiornamento. Il DL 145/2013 è stato convertito nella L 9/2014 in vigore a sua volta dal 22 febbraio 2014. Il Ministero della Giustizia ha poi provveduto emanando il DM 140/14 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 222 del 24 settembre 2014.

Appare quindi evidente che il periodo che va dal 18 giugno 2013 al 24 settembre 2014 è stato un periodo di incertezza con cui tutti, professionisti, associazioni di categoria, enti di formazione, hanno dovuto fare i conti.

In un primo momento, infatti, l’applicazione della L 4/2013 permetteva alle associazioni di categoria di regolare liberamente l’aggiornamento professionale, ad esempio accreditando eventi formativi sul modello di quanto facevano e fanno gli ordini professionali.

Il DM 140/14 ha introdotto invece la necessità di frequentare un vero e proprio corso di aggiornamento con determinate caratteristiche e durata, la trattazione di specifici argomenti, la presenza di un corpo docente e di un responsabile scientifico, il superamento di un esame finale, rendendo quindi impossibile proseguire nell’accreditamento di eventi formativi.

Sono queste ragioni oggettive, fondate e che non hanno connessione con la sfera soggettiva del professionista, al cui controllo sfuggono completamente, che legittimano la circostanza per cui alcuni professionisti non hanno avuto la possibilità di documentare l’aggiornamento professionale in particolare per l’anno 2014.

Per coloro che non possono documentare l'aggiornamento professionale per le annualità successive, valgono comunque le considerazioni di cui sopra relative alla circostanza che deve essere ritenuta censurabile la mancata formazione periodica, quando tale mancanza sia tale da non garantire il possesso della necessaria preparazione.

Il professionista farà dunque attenzione a seguire regolarmente i corsi di aggiornamento professionale e a superare il relativo esame: infatti, se occasionali carenze nella frequenza dei corsi di aggiornamento, specie nel primo periodo di applicazione della nuova normativa, non possono essere ritenuti tali da legittimare ipotesi di revoca giudiziale o di invalidità della delibera assembleare di nomina/conferma nell'incarico, successive trascuratezze possono invece legittimare iniziative giudiziarie dei condomini nei confronti del professionista.

Vale la pena considerare che il procedimento di revoca giudiziale può essere avviato anche da un solo condomino, senza quindi necessità di confrontarsi con l'assemblea e che "bersaglio" del provvedimento giudiziario di revoca può anche essere un professionista espressamente confermato nel mandato dall'assemblea anche a larghissima maggioranza.

Attenzione anche alla circostanza per cui non è possibile "sanare" la mancata frequenza del corso di aggiornamento a posteriori: se è vero che non c'è una sorta di organo di polizia amministrativa che possa sanzionare il professionista, è anche vero però che si resta esposti alle iniziative dei condomini più attenti ed esigenti: oggi, considerando che la normativa è ormai consolidata, non vale la pena esporsi a rischi professionali.

La vostra Associazione è al lavoro per voi.

 

• Danni ai balconi e pagamento riparazioni
Argomento: BALCONI
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Domanda
 
In novembre del 2016 nel corso della assemblea ordinaria dello stabile in cui abito,  il proprietario dell'abitazione del piano sottostante mi informa che il mio poggiolo
deve avere delle infiltrazioni che hanno causato dei danni al suo poggiolo (parte sottostante al mio).
Immediatamente mi rivolgo ad una ditta specializzata provvedo alla  riparazione utilizzando materiali e tecniche di impermeabilizzazione di primo ordine del calpestio del mio poggiolo.
Dalla stessa ditta faccio eseguire un sopralluogo per i danni al poggiolo sottostante (solaio) mi scuso se non uso il termine adatto, ma spero di farmi comprendere ugualmente.
Nel contempo faccio denuncia alla mia assicurazione, quando il perito esegue il sopralluogo del danno (dopo circa 30 giorni) ha voluto vedere anche il mio poggiolo e mi accenna ad una manutenzione ordinaria in quanto molti poggioli dello stabile erano in situazioni analoghe.
Poneva dei dubbi sulla  ripartizione dei danni.
I miei me li sono pagati. Per gli altri accennava che il proprietario dell'appartamento con poggiolo è responsabile del calpestio del suo poggiolo e del solaio del poggiolo del piano superiore.
Di tutto questo ho avvisato l'amministratore per evitare successive discussioni.
 
Risposta di Antonio Romano
I balconi sono di proprietà del condomino proprietario dell'appartamento che vi accede il quale in linea di massima ne sopporta per intero le spese di conservazione. Eccezionalmente, il rivestimento e gli elementi decorativi del fronte o della parte sottostante della soletta dei balconi devono essere considerati di competenza comune dei condomini, solo nei casi in cui assolvano prevalentemente alla funzione di rendere esteticamente gradevole l'edificio (Corte di Cassazione sentenze n. 176/1986 e n. 12792/1992).
Per quanto riguarda la faccia inferiore del balcone, viene in rilievo una differenza importante tra i balconi; questi infatti possono essere di due tipi: in aggetto, ossia sporgenti dalla facciata oppure incassati nella facciata stessa.
La magistratura ha precisato che la soletta (o solaio), ossia la struttura del balcone, è comune tra i proprietari degli appartamenti superiore ed inferiore solo ove i balconi svolgano contemporaneamente funzioni di separazione, di copertura e di sostegno (Corte di Cassazione sentenze n. 14576/04 e 15913/2007).
In pratica, queste ultime funzioni sono assolte solo dai balconi incassati nella facciata.
In questo caso la faccia inferiore del balcone è conservata a spese del proprietario dell'unità immobiliare al piano inferiore.
Nel caso di balcone in aggetto cioè sporgente dalla facciata, come pensiamo sia il Suo caso, questo è invece interamente di proprietà del condomino la cui unità immobiliare si affaccia sul balcone medesimo al quale quindi competono sia le spese di conservazione del calpestio che le spese di conservazione della faccia inferiore del proprio balcone.
Quindi, nel caso di balcone in aggetto, sarebbe a carico del proprietario del balcone (oltre al calpestio) la faccia inferiore del proprio balcone, mentre nel caso di balcone incassato nella facciata, sarebbe a carico del proprietario del balcone (sempre oltre al calpestio) la faccia inferiore del balcone del piano di sopra.
Può darsi che esista un regolamento contrattuale di condominio, allegato al rogito o da questo richiamato, che contenga regole di ripartizione delle spese diverse: se così fosse, queste regole prevalgono sui criteri di cui sopra.
• Quesiti in merito alla mediazione in condominio
Argomento: CONDOMINIO
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Domanda

1 a DOMANDA: la PROPOSTA DI MEDIAZIONE di cui al quinto comma dell’art.71 quater disp. att. c.c. e la PROPOSTA DI CONCILIAZIONE di cui al primo e secondo comma dell’art.11 D.Lgs. 28/10 sono da considerarsi il medesimo atto oppure rappresentano due documenti diversi, l’una inserita nella DOMANDA DI MEDIAZIONE, presentata dal ricorrente, e l’altra quale frutto della proposta conciliativa del Mediatore?

- l’ultimo comma dell’art.71 quater disp. att. c.c. richiama la PROPOSTA DI CONCILIAZIONE del Mediatore, per cui dovrebbe riferirsi ad un atto diverso rispetto alla PROPOSTA DI MEDIAZIONE del ricorrente;

- il terzo comma dell’art. 71 quater disp. att. c.c. sembra permettere all’Amministratore di partecipare al procedimento di Mediazione solamente PREVIA delibera assembleare, per cui non può agire se non dopo aver avuto l’autorizzazione;

2 a DOMANDA: questo terzo comma riguarda sia il caso in cui sia il Condominio a richiedere la Mediazione che il caso in cui il Condominio venga chiamato in mediazione?

3 a DOMANDA: il terzo comma dell’art.71 quater disp. att. c.c. deve connettersi con la regola generale di cui all’art.1131 c.c. sulla rappresentanza in giudizio dell’Amministratore che, nei limiti delle attribuzioni stabilite dall’art.1130 c.c. o per i maggiori poteri conferitigli dal Regolamento di Condominio o dall’Assemblea, PUO’ AGIRE in giudizio sia contro i condomini che contro terzi senza obbligatoriamente darne notizia all’Assemblea, come pure se convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni, mentre se convenuto in giudizio per fatti od oggetti che esorbitino le sue attribuzioni DEVE darne notizia all’Assemblea?

4 a DOMANDA: l’art.71 quater disp. att. c.c. deve interpretarsi come eccezione alle disposizioni di cui all’art.1130 c.c. sulla rappresentanza in giudizio dell’Amministratore, obbligandolo in tutti i casi e per tutte le materie previste dal primo comma dell’art.71 quater disp. att. c.c. a richiedere previamente, sia che proponga la domanda di mediazione sia che sia convenuto in mediazione, l’autorizzazione a partecipare al procedimento di mediazione?

5 a DOMANDA: se l’art.71 quater disp. att. c.c. obbliga in tutti i casi l’Amministratore a chiedere all’Assemblea di poter partecipare o meno al procedimento di mediazione, l’Assemblea deve già conoscere la PROPOSTA DI MEDIAZIONE da avanzare nella domanda di mediazione o inserita nella domanda proposta da controparte?

6 a DOMANDA: dalla lettura del comma 5 dell’art.71 quater disp. att. c.c. sembrerebbe dedursi come l’Assemblea possa o meno approvare una proposta di mediazione avanzata dalla controparte, perciò può ritenersi che i commi 3, 4, e 5 dell’art.71 quater disp. att. c.c. riguardino esclusivamente il caso in cui il Condominio sia convenuto in mediazione, mentre il secondo comma riguardi sia la domanda proposta dall’Amministratore che la domanda proposta dalla controparte?

7 a DOMANDA: il 3° comma dell’art.71 quater disp. att. c.c. presuppone che l’Assemblea condominiale debba approvare la proposta di mediazione da inserire nella domanda di mediazione da presentarsi da parte dell’Amministratore od anche presuppone che esprima una delibera sulla proposta di mediazione (contenuta nella domanda di mediazione del terzo), eventualmente contrapponendo una propria proposta di mediazione?

Risposta di Antonio Romano

1 - A mio avviso, la proposta di conciliazione di cui all’art 11 del D. Lgs. 28/10 coincide con la proposta di mediazione di cui all’art 71 quater Disp Att Cod Civ.

In esito all'incontro di mediazione, se la mediazione riesce, possono darsi due situazioni:

- il mediatore propone l'accordo (come sopra)

- le parti trovano un'intesa: in questo caso può anche trattarsi, per una delle parti, di aderire alla proposta elaborata dalla propria controparte, nell'ipotesi in cui una delle parti abbia avuto una tale saggezza da fare una proposta talmente ben ponderata da essere considerata dalla controparte come adeguata senza alcuna pur simbolica modifica (sarà mai accaduto nella storia universale delle soluzioni alternative delle controversie?)

In ogni caso, però, qualsiasi sia l'origine della bozza di accordo, l'amministratore ne deve sottoporre il contenuto all'assemblea che si deve pronunciare con la maggioranza del secondo comma dell'art 1136 Cod Civ: solo in questo caso la sua accettazione vale, diversamente non ha alcun valore, perchè eccederebbe il suo mandato e quindi non rappresenterebbe la volontà dei condomini.

2 - A mio avviso, la partecipazione dell'amministratore alla mediazione è sempre condizionata alla volontà dell'assemblea, quindi anche nell'ipotesi in cui il condominio sia "convenuto", perchè il testo del comma 3 dell'art 71 quater Disp Att Cod Civ è talmente chiaro da non prestarsi ad interpretazioni diverse: l'assemblea deve/può quindi scegliere se partecipare alla mediazione (tramite l'amministratore) o assumersi il rischio di cui all'art 8 comma 4 bis del  D Lgs 28/10.

3 -  Valgono le stesse considerazioni di cui sopra anche dal lato "attivo": coordinare l'art 71 quater Disp Att Cod Civ con l'art 1131 Cod Civ è problematico, ma del resto è problematico il rapporto amministratore/assemblea anche nell'ambito dei procedimenti giudiziari: vogliamo parlare del rapporto tra Cass SU 18331/2010 e Cass 17577/11?

A mio avviso, il testo dell'art 71 quater Disp Att Cod Civ, come sopra accennavo, temo non lasci spazio a diverse interpretazioni: di fatto se la mediazione è condizione di procedibilità per una successiva ed eventuale azione legale (non quindi ad es per il procedimento monitorio o nei procedimenti di urgenza), l'amministratore, quando anche nei limiti delle sue attribuzioni, deve essere autorizzato ad avviare la mediazione dall'assemblea, perdendo quindi di fatto l'autonomia di cui alla sentenza Cass 17577/11, ma nel rispetto del principio di diritto di cui Cass SU 18331/10 ("L'amministratore di condominio, in base al disposto dell'art. 1131 c.c., comma 2 e 3, può anche costituirsi in giudizio e impugnare la sentenza sfavorevole senza previa autorizzazione a tanto dall'assemblea, ma dovrà, in tal caso, ottenere la necessaria ratifica del suo operato da parte dell'assemblea per evitare pronuncia di inammissibilità dell'atto di costituzione ovvero di impugnazione").

4 - vedi risposta 3

5 - A mio avviso, l'assemblea autorizza validamente l'amministratore alla partecipazione alla mediazione anche senza dare indicazioni sull'eventuale proposta di mediazione ritenuta accettabile. Tuttavia, secondo alcuni, se l'assemblea nell'autorizzare l'amministratore alla partecipazione alla mediazione volesse precisare dettagliatamente quali contenuti sono desiderabili e la proposta di mediazione ne riflettesse esattamente le indicazioni, la seconda delibera di approvazione non sarebbe necessaria. Personalmente, però, questa posizione mi lascia perplesso e non penso sia condivisibile.

6 - Tutto l'art 71 quater Disp Att Cod Civ riguarda, a mio avviso, sia il lato attivo che quello passivo, non solo il comma 2.

7 - A mio avviso, l'assemblea deve autorizzare l'amministratore a partecipare alla mediazione: non si esprime sul contenuto della domanda di mediazione o almeno la legge non impone tale determinazione. Penso però che se l'assemblea provvede in tal senso, l'amministratore dovrebbe seguirne le indicazioni. Secondo me, però, non è opportuno tale intendimento, perchè verrebbe completamente svilito il ruolo del mediatore, il quale, in vero, non ha una funzione "notarile", bensì quella di trovare la soluzione accettabile per le parti a cui le parti stesse evidentemente non hanno pensato, altrimenti la lite non sarebbe sorta: vedi il famoso "aneddoto dell'arancia" della “Scuola di Negoziazione” di Harvard.

• Ordine del giorno: Nomina dell'Amministratore
Argomento: AMMINISTRATORE
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Domanda
 
La nostra realtà è cresciuta in pochi anni arrivando ad amministrare circa sessanta condomini, con un ritmo di acquisizioni annue discreto.
Negli ultimi mesi sempre più spesso presso alcuni condomini, amministrati da amministratori aderenti ad ANACI,  dove si è deciso di conferire il mandato alla nostra società,  riscontriamo resistenze, legate al mancato inserimento all’ordine del giorno della conferma o nomina nuovo amministratore, con le seguenti motivazioni:
“Si può affermare che non si rinviene nelle norme vigenti l’obbligo di convocazione annuale dell’assemblea per la nomina dell’amministratore.
Pertanto, in virtù del disposto dell’art.1129 comma 10 c.c., in mancanza di dimissioni, di revoca o di nomina di un altro amministratore, deve ritenersi automatica la rinnovazione dell’incarico annuale per eguale durata, con la conseguente conferma dell’amministratore stesso, attraverso la costituzione di un nuovo vincolo giuridico identico al precedente.
Si ha quindi un automatico rinnovo dell’incarico dell’amministratore di anno in anno, senza alcuna soluzione di continuità, in assenza di dimissioni o di revoca da parte dell’assemblea dei condomini, o, più precisamente, in assenza di una richiesta di convocazione dell’assemblea per deliberare in tal senso, da prodursi sottoscritta ai sensi dell’art. 66 d.a.c.c. da almeno due condomini rappresentanti 1/6 dei millesimi.
In altre parole, se non dimissionario o se non richiesto nelle forme dovute, l’amministratore in sede di convocazione annuale dell’assemblea non dovrà inserire all’ordine del giorno apposito punto relativo alla valutazione da parte dell’assemblea del proseguimento o meno del rapporto, atteso che opera ex lege  il meccanismo del rinnovo tacito di anno in anno.
Salva, ovviamente, la possibilità, per l’assemblea dei condomini, di revocare l’amministratore in ogni tempo, se non per giusta causa, con riconoscimento di indennità.”
Volevamo conoscere quale sia la posizione SESAMO in ordine al problema del rinnovo dell’incarico di amministratore, anche alla luce che noi inseriamo all’ordine del giorno ogni anno il punto riguardante conferma o nomina amministratore.
 
Risposta di Antonio Romano
L'amministratore gestisce il condominio in virtù di un rapporto di mandato: attualmente, l'art 1129 Cod Civ comma 15 lascia pochi dubbi al riguardo. Si tratta, comunque, di un mandato "sui generis".
Prima di tutto è essenzialmente il Codice Civile a definire obblighi e diritti del mandatario. L'amministratore di condominio rappresenta, inoltre, anche coloro che hanno espresso il dissenso alla sua nomina, come pure i nuovi condomini che avessero acquistato la propria unità immobiliare dopo la delibera di nomina alla quale, quindi, non hanno preso parte.
In ultimo, il mandatario, nel caso dell'amministratore di condominio, potrebbe trovarsi ad agire in giudizio anche nei confronti del proprio mandante, come accade nelle ipotesi di recupero del credito.
Tra le situazioni che riguardano questa particolare figura, consideriamo in queste note il rinnovo nell'incarico.
Il nuovo comma 10 dell'art 1129 Cod Civ conferma la durata annuale dell'incarico. Precisa però che "questo si intende rinnovato per eguale durata": questa disposizione incide profondamente sul regime di proroga, che assume profili completamente diversi a seconda dell'interpretazione della norma, che potrebbe essere:
- durata nell'incarico per un anno più uno di rinnovo automatico, quindi, di fatto, biennale;
- durata nell'incarico per un anno, che prosegue per non più di un altro anno, quindi il secondo anno è un anno di rinnovo a cui quindi non può conseguire un altro rinnovo automatico;
- durata nell'incarico per un anno, che prosegue "sine die" salvo revoca.
In tutti i casi, valgono le considerazioni che seguono:
- la dimensione dell'incarico annuale resta, per effetto del disposto del comma 10 dell'art 1129 Cod Civ;
- in ogni caso, l'amministratore può essere revocato in ogni momento per giusta causa con riferimento alle norme sul mandato: le ipotesi di giusta causa sono quelle elencate nel comma 12 dell'art 1129 Cod Civ, oltre a quelle che il Giudice eventualmente sollecitato dai condomini potrà ritenere tali da configurare "gravi irregolarità".
- in ogni caso, l'assemblea può deliberare la revoca dell'amministratore, con la stessa maggioranza necessaria per la sua nomina (vedi comma 11 art 1129 Cod Civ): in questo caso è salvo il suo diritto all'emolumento per l'intero periodo concordato (che resta comunque di un anno e non di più per effetto del comma 10 dell'art 1129 Cod Civ) oltre all'eventuale diritto al risarcimento del danno.
Qual'è quindi la durata corretta dell'incarico?
In effetti la Giurisprudenza non ha avuto modo di pronunciarsi al riguardo e la dottrina si muove in ordine sparso.
Non è quindi facile prendere una posizione certa, ma, a mio avviso, se prima della riforma l'incarico dell'amministratore durava un anno e necessitava, per la sua prosecuzione, di una ulteriore delibera assunta con la maggioranza prevista nel comma 2 dell'art 1136 Cod Civ, la nuova regolazione rende evidente che non ci sarà bisogno di una conferma specifica.
L'ordine del giorno non recherà più l'indicazione "nomina amministratore", ma eventualmente "revoca amministratore", se richiesto dai condomini (formalmente ex art 66 Disp Att Cod Civ da almeno due condomini che rappresentino almeno 1/6 dei millesimi).
Trattandosi di un contratto di durata, in mancanza di intenzione contraria, si concreta la volontà dell'assemblea di proseguire nel rapporto, per cui questo prosegue alle stesse condizioni del precedente, con l'adempimento connesso al comma 14 dell'art 1129 Cod Civ che impone all'amministratore, all'atto del rinnovo, di specificare nuovamente comunque, a pena di nullità, l'importo preteso a titolo di compenso, come pure con gli adempimenti di cui al comma 2 Cod Civ.
In linea di massima, si ritiene che l'obiettivo del legislatore sia stato il superamento del regime di proroga: si tratta infatti di un rinnovo del mandato e non di proroga dei poteri che resta, con una regolamentazione nuova di cui all'art 1129 comma 8 Cod Civ (solo attività urgenti e senza diritto ad ulteriori compensi), nei casi di cessazione dall'incarico.
La riforma ha quindi introdotto per l'amministratore di condominio una stabilizzazione nell'incarico certamente opportuna ed innovativa a cui fa da "contrappeso" l'ampliamento delle ipotesi di giusta causa di revoca anche giudiziale di cui al nuovo comma 12 dell'art 1129 Cod Civ.
Diversamente, non avrebbe avuto senso il cambio di testo dell'art 1129 Cod Civ, che nella formulazione previgente affermava che "l'amministratore dura in carica un anno", mentre la nuova formulazione afferma che "l'amministratore dura in carica un anno e si intende tacitamente rinnovato per eguale periodo". Se infatti dovessimo ritenere che l'interpretazione corretta fosse "un anno più uno e non di più" non vi sarebbe alcuna rilevante innovazione, perchè gli stessi problemi interpretativi inerenti al regime di proroga si ritrovebbero ancora nell'assetto post riforma, solo posticipati di un anno. La limitazione dei poteri dell'amministratore in regime di proroga introdotta dalla riforma diventerebbe una sorta di trappola per i condomini che potrebbero trovarsi con un amministratore fortemente limitato nel proprio mandato per un periodo di tempo anche lungo perchè l'assemblea consolidi una maggioranza sufficiente alla nomina del successore.
In ultimo si osservi che l’amministratore dimissionario può liberarsi dell’onere dell’ufficio, senza dover sottostare all’inerzia dell’assemblea. Infatti l’art. 1129 comma 1 Cod Civ lo autorizza al ricorso all’Autorità Giudiziaria, nel caso in cui l’assemblea non provveda alla nomina (se i condomini sono più di otto). Si noti però che l’amministratore non è autorizzato a rivolgersi all’Autorità Giudiziaria in qualsiasi caso di mancata conferma, ad esempio perché l’assemblea non raggiunge il quorum sufficiente per deliberare. Si ribadisce indirettamente quindi il principio per cui l’assemblea non ha bisogno di deliberare sulla conferma, perché l’amministratore si rinnova automaticamente nel tempo.
In ultimo, vale la pena considerare il testo del comma 10 dell'art. 1129 Cod Civ che nella nuova versione non si esprime nel senso di limitare il tacito rinnovo dopo il primo anno ad UN eguale periodo, bensì parla di tacito rinnovo per “eguale periodo”, dunque non solo uno: quindi anche la lettura rigorosa della lettera della norma legittima quella che a mio avviso è l'interpretazione più coerente alle intenzioni del legislatore.
• Modifiche regolamento e comproprietà
Argomento: REGOLAMENTO
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Domanda

Sono comproprietario di un appartamento e volevo chiedervi se, nel caso fosse necessaria per la modifica di un regolamento contrattuale il consenso di tutti i condomini, basterebbe la firma sul verbale dell'altro comproprietario o sarebbe necessaria anche la mia firma. In altre parole, potrei chiedere la nullità di un verbale che non riportasse il mo consenso ma solo quello dell'altro comproprietario?
 
Risposta di Antonio Romano
In effetti perché il nuovo regolamento contrattuale di condominio sia valido, occorre che sia firmato da tutti i comproprietari nel pieno senso del termine,  quindi si devono considerare tutti i comproprietari delle singole unità immobiliari che compongono il condominio. Questo principio trova conferma nella recente sentenza della Corte di Cassazione n. 15415/2013 in cui si precisa che il consenso del comproprietario della singola unità immobiliare nell'approvazione delle modifiche al regolamento contrattuale di condominio non può essere presunto (nemmeno nel caso moglie/marito).
 
• Responsabilità oggetti dei condomini
Argomento: CONTROVERSIE
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Domanda

In un condominio un proprietario, senza prima avvisare tutti gli altri e nemmeno l'amministratore ha posizionato all'interno del giardino condominiale una piscina gonfiabile; alcuni condomini si sono lamentati in quanto primo non erano stati informati e secondo essendo l'area cortiliva non recintata e la piscina viene lasciata piena di acqua nel giardino la loro preoccupazione è che esterni, soprattutto durante la notte, possano entrare e per qualsiasi motivo farsi male. In questo caso la responsabilità  ricade sul condominio in quanto l'oggetto era posto su area condominiale oppure ci si può rivolgere a chi ha acquistato la piscina? La stessa cosa vale anche per tavoli, sedie e panchine, anche se possono essere considerati arredi da giardino, se qualcuno si siede cade e si fa male il responsabile è sempre il condominio? 
 
Risposta di Antonio Romano
 
Il condominio (e quindi l'amministratore) può essere chiamato a rispondere solo dei danni subiti dai terzi o dai condomini a causa dei beni comuni e non a causa di beni privati anche se si trovano posti nelle aree condominiali.
Nel caso che ci ha descritto peraltro nè l'assemblea nè l'amministratore hanno autorizzato il condomino a porre la piscina o gli arredi da giardino nel cortile.
Occorre rilevare che in assenza di una regolazione contenuta nel regolamento di condominio sarebbe anche piuttosto difficile ostacolare il condomino che volesse porre nel cortile alcuni arredi da giardino, perché nè la piscina gonfiabile nè gli arredi conducono ad una modifica della destinazione d'uso del cortile e quindi non costituiscono una innovazione.
Naturalmente questo vale per una piscina gonfiabile di dimensioni contenute come quelle vendute per il gioco dei bambini, mentre altro ragionamento andrebbe fatto per le piscine componibili che hanno ben altre dimensioni pur restando un manufatto provvisorio: vale infatti sempre il principio per cui nessuno può fare dei beni comuni un uso che impedisca agli altri di fare lo stesso secondo il disposto dell'art 1102 Cod Civ.
In questi casi vale sempre la pena di controllare il testo del regolamento di condominio se esistente, perché spesso questo contiene clausole che nella loro genericità possono rivelarsi risolutive: clausole del tipo "è vietato l'ingombro delle parti comuni" sono infatti estremamente frequenti e valgono anche se molto risalenti nel tempo.
• Acquisto appartamento e debiti pendenti
Argomento: SPESE
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Domanda:
 
1. Lo scorso anno ho acquistato un appartamento sul quale ho scoperto dopo (colpa del notaio) che erano pendenti circa 4.000 € di debiti. Questi 4.000 € sono in parte relativi a lavori della facciata (circa 2.600€, e che sono disposto a pagare) e circa 1.400€ relativi a rate condominiali mai pagate e istallazione dell'impianto citofonico nuovo. Negli ultimi giorni l'amministrazione condominiale vuole addebitarmi anche l'importo dell'avvocato (4.000€) incaricato dal condominio di recuperare soldi dai precedenti proprietari. Azione legale che si è risolta con un nulla di fatto poichè risultano pressochè nulla tenenti, o comunque non hanno liquidità su i loro conto correnti. Credo che questo pagamento non spetti assolutamente a me, e vi chiedo conferma, anche perchè l'incarico è avvenuto da parte dell'amministratore. Come mi devo comportare?
2. Non capisco però perchè debba pagare le spese dell'avvocato del condominio.
 
Risposta di Antonio Romano
 
1. Il principio generale è che il condomino sia tenuto al versamento delle spese di conservazione e di manutenzione delle parti comuni per il solo fatto di essere proprietario di una unità immobiliare posta nello stabile.
 
L'acquirente è obbligato solidalmente con il venditore a versare i contributi condominiali relativi all’anno in corso ed a quello precedente al suo acquisto, quindi con i limiti di tempo indicati, il condominio può chiedere al nuovo condomino di pagare le spese riguardanti un periodo di tempo in cui questi non era proprietario.
 
L'acquirente si sostituisce al venditore nel pagamento nei confronti del condominio, restando però fermo il suo diritto di rivalsa nei confronti del venditore stesso per il recupero di tutte le somme.
 
Per valutare la corretta attribuzione della spesa tra venditore e acquirente di una unità immobiliare in condominio, occorre però considerare il momento in cui matura l’obbligazione nei confronti del condominio. Questa questione è molto dibattuta perché la legge non dà riferimenti precisi. Tuttavia nella sentenza n. 23345/2008 la Corte di Cassazione ha chiarito che "occorre considerare che nei confronti del condominio l’obbligo del condomino di pagare i contributi per le spese di manutenzione delle parti comuni dell’edificio deriva non dalla preventiva approvazione della spesa e dalla ripartizione della stessa, ma dal momento in cui sia sorta la necessità della spesa ovvero la concreta attuazione dell’attività di manutenzione e quindi per effetto dell’attività gestionale concretamente compiuta".
 
Detto questo anche le spese legali riguardanti le cause del condominio costituiscono un debito per quote condominiali e rientrano quindi in quella categoria di obbligazioni che devono essere adempiute da chi risulta proprietario al momento in cui la spesa viene sostenuta, quindi l'acquirente.
 
Occorre, però, fare una distinzione tra le spese dovute alla controparte a seguito della sconfitta subita dal condominio in giudizio e le somme da versare all’avvocato che lo ha difeso.
 
Quanto alle prime, l’acquirente è tenuto al pagamento: le spese legali della causa vengono liquidate dal Giudice nella sentenza è quindi le stesse spettano a colui che ha la qualità di condomino alla data di deposito della sentenza.
 
Quanto alle seconde, la richiesta di pagamento può essere fatta al nuovo condomino solo se la delibera di dar corso o di resistere alla lite è stata assunta entro l’anno contabile in cui è avvenuto l’acquisto o in quello immediatamente precedente, dovendosi applicare in tal caso il principio generale dettato dalla legge.
 
Poiché infatti l’obbligo di corrispondere il compenso al proprio avvocato sorge con il conferimento del mandato, l’acquirente dell’unità immobiliare è responsabile in solido con il proprio venditore solo per le spese legali relative ai giudizi introdotti a partire dall’anno contabile precedente all’acquisto.
 
2. In effetti non è detto che Lei sia tenuto al pagamento. Come Le accennavo, la richiesta di pagamento può essere fatta al nuovo condomino solo se la delibera di dar corso o di resistere alla lite è stata assunta entro l’anno contabile in cui è avvenuto l’acquisto o in quello immediatamente precendente.
L’acquirente dell’unità immobiliare è infatti responsabile in solido con il proprio venditore solo per le spese legali relative ai giudizi introdotti a partire dall’anno contabile precedente all’acquisto. Occorre quindi verificare quando è stato dato il mandato all'avvocato, ma se il conferimento del mandato è avvenuto prima dell'anno contabile precedente al Suo acquisto Lei non sará tenuto a farsi carico della spesa.
• Abbattimento alberi in condominio
Argomento: DECORO ARCHITETTONICO
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Domanda
 
Nel mio giardino insiste un albero di alto fusto ormai secco e pertanto deve essere abbattuto perché pericoloso per le cose e le persone.
Negli anni precedenti la manutenzione degli alberi d'alto fusto insistenti nei giardini privati dei condomini ricadeva sul condominio stesso in quanto considerati come parti integranti del decoro e dell'arredo comune anche se nel 2004 era stata approvata una delibera condominiale che obbligava i soli proprietari dei suddetti alberi.
Attualmente come mi devo comportare per il taglio della pianta nel mio giardino?
Devo obbligare il condomino a seguire la prassi abituale o devo intervenire io solamente?
 
Risposta di Antonio Romano

Abbattere gli alberi ad alto fusto di un giardino privato inserito in un condominio può essere un problema.

Occorre innanzitutto verificare che non sia necessario lo svolgimento di alcune pratiche amministrative: molti Comuni, infatti, regolano la gestione del verde privato.

Fatta questa verifica, se il giardino è inserito in un contesto condominiale, occorre poi occuparsi del rapporto con il condominio: il condominio potrebbe infatti contestare che l'abbattimento degli alberi, sebbene inseriti in un giardino privato di proprietà di un singolo condomino, possa condurre ad una menomazione del valore dell'immobile; potrebbe quindi contestare al condomino che l'abbattimento delle piante costituisca una innovazione vietata.

Nel caso di Suo interesse, si tratta in vero di abbattere una sola pianta, ma comunque è importante che si possa documentare con una perizia tecnica di un agronomo o di un giardiniere esperto la necessità di procedere all'abbattimento, necessità che effettivamente nel Suo caso è proprio motivata da questioni agronomiche (l'albero in questione è secco e potrebbe diventare pericoloso).

Per quanto riguarda la ripartizione delle spese di manutenzione del verde privato di ciascun condomino, può darsi che la determinazione di ripartire tali spese su tutti i condomini, come è stato finora, derivi dal regolamento contrattuale di condominio: in questo caso, anche la spesa per l'abbattimento della Sua pianta dovrebbe essere ripartita tra tutti i condomini; la presenza di un'apposita clausola nel Vostro regolamento chiude, infatti, la possibilità di contestazioni.

Diversamente, si può comunque considerare la rilevanza del verde privato del singolo condomino per il decoro di tutto l'edificio: la Corte di Cassazione ha infatti stabilito che gli alberi ad alto fusto concorrono a costituire in modo indissolubile il decoro architettonico dell'edificio, traendone anche la conseguenza che la loro eliminazione comporta un inevitabile deprezzamento economico anche delle unità abitative dei singoli condomini (Cass. Civ. sentenza n. 3666 del 18.04.1994).

La giurisprudenza della Cassazione ha avuto modo di fissare il principio della rilevanza di una parte privata per il decoro architettonico anche in altri contesti: ad esempio, con riferimento ai balconi in aggetto, pur affermandone la proprietà privata del condomino il cui appartamento vi accede, ha precisato che le spese per la conservazione del rivestimento e degli elementi decorativi del fronte o della parte sottostante della soletta debbano essere ripartite tra tutti i condomini in tutti i casi in cui assolvano prevalentemente alla funzione di rendere esteticamente gradevole l'edificio (Cass. Civ. sentenza n. 176/86 e Cass. Civ. sentenza n. 12792/92).

Nella più recente sentenza n. 1784/2007, la Cassazione ha stabilito che la spesa dei frontalini dei balconi può essere ripartita fra tutti i condomini quando viete provata la loro funzione decorativa-ornamentale dell'immobile, secondo una valutazione riservata al giudice.

Quindi, se la presenza del verde privato "di pregio", come lo sono le piante ad alto fusto, del singolo condomino viene ritenuta rilevante per il decoro di tutto lo stabile - e la sentenza della Cassazione n. 3666/94 sopra citata si spinge a dare tale assunto quasi per inevitabile - allora anche le spese di conservazione del verde privato, almeno con riferimento alle piante ad alto fusto, dovrebbero essere ripartite tra tutti i condomini (su base millesimale).

• Distacco di un condomino dal riscaldamento centralizzato
Argomento: RISCALDAMENTO
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Domanda
 
Salve, in nostro palazzo di solo 6 appartamenti adesso fanno lavori di contabilizzazione di calore, ma Io volevo staccarmi da riscaldamento centralizzato, fare autonomo, con una caldaia a condensazione, pero mi dicono che alla fine anche io devo partecipare a tutte spese di lavori per conta calori; a questo punto mi tocca pagare un sacco di soldi e non conviene piu staccarsi dal centralizzato. Mi sembra assurdo: perché devo pagare delle cose, degli impianti e dei servizi che non uso con l'avvenuto distacco??? Chi puoi rispondere, forse ci sono leggi o sentenze dove si puo trovare informazione? 
 
Risposta di Antonio Romano

In effetti, le informazioni che Le hanno dato sono corrette. Il Codice Civile considera la possibilità che un condomino si distacchi dal riscaldamento centralizzato: il nuovo art 1118, nuovo perchè modificato dalla Riforma del condominio, dispone che un condomino "può rinunciare all'utilizzo dell'impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento, se dal suo distacco non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini". La norma sembra quindi essere favorevole per il Suo intento. Tuttavia lo stesso articolo precisa che "in tal caso il rinunziante resta tenuto a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell'impianto e per la sua conservazione e messa a norma". In pratica, quindi, chi si distacca sarà comunque tenuto a pagare tutte le spese di conservazione dell'impianto comune, anche se non ne avrà effettivamente alcun beneficio. Staccarsi dal riscaldamento centralizzato non è mai stato facile, del resto. Anche la nuova norma pur apparentemente favorevole, prevede che chi è interessato al distacco dal riscaldamento centralizzato riesca a provare di fatto che tale distacco fa risparmiare gli altri condomini: si tratta di una circostanza tutt'altro che scontata e che va documentata con una perizia tecnica. Anche in questo caso, comunque, vale il principio per cui il distaccato resta tenuto a contribuire a tutte le spese che riguardano l'impianto comune, tranne il consumo di combustibile e l'elettricità necesaria per il funzionamento della centrale termica.

• Uso della facciata per posizionare stendino
Argomento: PARTI COMUNI
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Domanda
 
E' possibile dopo più di 50 anni togliermi 3 staffe utilizzate per stendere il bucato dalla facciata posteriore del mio appartamento che non ha neppure un balcone ma solo finestre che danno su un giardino interno al palazzo di uso esclusivo e non di proprietà dell'appartamento di piano terra. Tutto ciò è avvenuto senza avvisarmi e senza convocazione di assemblea, durante i lavori di ristrutturazione della palazzina.
 
Risposta di Antonio Romano
 
L'installazione di manufatti (qualsiasi) ad opera di un condomino sulle parti comuni (in questo caso la facciata) è in linea di massima lecita con alcune condizioni che si trovano negli artt 1102 e 1120 Cod Civ: con riferimento al quesito, la condizione rilevante che emerge dal combinato disposto di queste norme è legata al divieto di alterazione del decoro architettonico. L'altra condizione rilevante è legata alla presenza di divieti o limitazioni contenute nel regolamento di condominio. In questo caso, considerata la circostanza della posizione dei manufatti in questione sulla facciata verso corte è molto difficile, salvo rari casi, sostenere l'alterazione del decoro architettonico e quindi il minor valore dell'edificio proprio per la presenza degli stendini e, d'altra parte, la mancanza di contestazioni nel tempo lascia intendere che non vi siano norme rilevanti nel regolamento di condominio, se anche vi fosse.
Ad ogni modo, la circostanza che i manufatti in questione sono in posizione da diversi decenni può legittimare l'acquisto del diritto di mantenerli dove sono per usucapione.
Direi quindi che è molto probabile che Lei potesse mantenere gli stendini nella posizione in cui si trovavano al momento della rimozione.
In ogni caso, a tutto voler concedere, il condominio dovrebbe assumere una delibera formale per invitarLa a rimuoverli ove si volesse far valere una diversa determinazione in relazione all'uso della facciata: una tale delibera dovrebbe essere assunta con le maggioranze previste per la approvazione/modifica del regolamento condominiale, quindi con il voto favorevole della maggioranza dei presenti in assemblea (l'assemblea dovrebbe vedere l'argomento all'ordine del giorno) che rappresentino almeno 500/1000.
L'assemblea può disporre in relazione all'uso della facciata ed anche in relazione alla diretta rimozione degli stendini solo se questi sono di proprietà comune.
Se tali manufatti sono invece di proprietà individuale, come nel Suo caso, l'assemblea non può fare altro che invitare il condomino a rimuoverli, ma non può procedere direttamente alla rimozione incaricando l'appaltatore delle opere di rifacimento della facciata, perchè verrebbe a recare danno ad un bene di proprietà privata.
• DURC e obbligatorietà in fattura
Argomento: PROFILI FISCALI
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Domanda
 
La presentazione del Durc unitamente alle fatture, da parte delle aziende, sia obbligatoria dal 2005 o dal 2007? Poichè tale documento viene rinnovato, ora ogni 120 gg, è sufficiente conservare l'ultimo o dobbiamo conservare anche i precedenti? In teoria, non cambiando la ragione sociale, il nuovo documento può attestare la regolarità  solo se anche il pregresso non registra mancati versamenti di contributi etc; in caso poi questo documento non fosse stato presentato o conservato e la fattura pagata che problemi può determinare? In ultimo, tutte le ditte/aziende sono soggette a DURC? Un professionista ad esempio non ci risulta.
 
Risposta di Antonio Romano
 
In relazione alla durata del DURC:
Il Ministero del Lavoro con la circolare n. 36/2013 ha chiarito la portata delle semplificazioni introdotte dall'art 31 del Decreto detto "del Fare" (Decreto Legge 21 giugno 2013 n. 69 (in vigore dal 22 giugno 2013) convertito nella L 9 agosto 2013 n. 98 (in vigore dal 21 agosto 2013) in merito al Documento Unico di Regolarità Contributiva. 
La prima importante novità evidenziata anche dalla circolare ministeriale è consistita proprio nella validità della durata del DURC che è stata estesa a 120 giorni calcolati dalla data di rilascio ed applicati solo ai DURC rilasciati dopo il 21 agosto 2013.
Tale novità è stata introdotta in sede di conversione del DL 69/2013 e  per tale motivo essa ha operato solo per i DURC rilasciati a partire dal 21 agosto, data di entrata in vigore della legge di conversione del Decreto "del Fare". La circolare ha precisato che la validità dei DURC rilasciati prima del 21 agosto 2013 non supera i 90 giorni.
La circolare ha ricordato però anche che il Legislatore ha scelto di estendere la durata di validità del DURC a 120 giorni anche ai lavori edili per i soggetti privati ma solo fino al 31 dicembre 2014.
Attualmente quindi la durata del DURC è di 90 giorni.
Si veda del resto la nota del Ministero del Lavoro n. 3899/2015, in cui il Ministero ha confermato che a decorrere dal 1° gennaio 2015, la validità del DURC, emesso per lavori edili privati, passa da 120 a 90 giorni.

In relazione alla richiesta di esibizione del DURC:
Il DURC era inizialmente certamente obbligatorio negli appalti privati, solo per i lavori edili soggetti a concessione edilizia o a DIA/SCIA (vedi circ INAIL 38/05).
Tuttavia, il D Lgs 81/08 art 90 relativo ai soli cantieri temporanei, al comma 9, dispone che il committente verifichi l'ideneità tecnico professionale degli appaltatori (che siano imprese o lavoratori autonomi) chiedendo il DURC.
Quindi il DURC è da ritenersi obbligatorio in caso di appalto di lavori edili a prescindere dall'appaltatore, pertanto anche nel caso di lavoratori autonomi.
Non è invece obbligatorio in caso di appalto di servizi (ad esempio pulizia).

In relazione alla responsabilità solidale del committente in caso di violazione dell'obbligo contributivo:
L'art. 35 del D.L. n. 223/2006 convertito nella L 248/06 nei suoi commi da 28 a 34 ha introdotto una responsabilità solidale tra committente, appaltatore e subappaltatori sul fronte dei versamenti delle ritenute fiscali operate e dei contributi e premi dovuti per i lavoratori dipendenti in ambito, quindi, sia fiscale che contributivo e assicurativo.
Questa norma ha subito in breve tempo una serie di vicissitudini complesse.
In ultimo, il D.L. 83/2012 convertito nella L 134/2012, nel modificare la norma di cui sopra, ha disposto, in pratica, che l'unico soggetto con responsabilità solidale sia l’appaltatore principale nei confronti dei suoi subappaltatori, mentre per il committente si è prevista solo una sanzione amministrativa, sebbene consistente.
Il nuovo comma 28 bis dell'art 35 della L 248/06 ha disposto infatti che "Il committente provvede al pagamento del corrispettivo dovuto all'appaltatore previa esibizione da parte di quest'ultimo della documentazione attestante che gli adempimenti di cui al comma 28, scaduti alla data del pagamento del corrispettivo, sono stati correttamente eseguiti dall'appaltatore e dagli eventuali subappaltatori. Il committente può sospendere il pagamento del corrispettivo fino all'esibizione della predetta documentazione da parte dell'appaltatore. L'inosservanza delle modalità di pagamento previste a carico del committente è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da Euro 5.000 a Euro 200.000 se gli adempimenti di cui al comma 28 non sono stati correttamente eseguiti dall'appaltatore e dal subappaltatore."
L'Agenzia delle Entrate con la Circolare n. 2/E del 01.03.13 ha fornito alcuni chiarimenti rilevanti:
- la normativa si applica ai contratti di appalto e subappalto relativi a tutti i settori economici e non solo a quelli del settore edilizio;
- la documentazione o la certificazione sostitutiva attestanti l’esecuzione dei corretti obblighi fiscali, deve essere richiesta solamente in relazione ai pagamenti effettuati a partire dall’11 ottobre 2012, relativamente ai contratti di appalto e subappalto stipulati e/o rinnovati a partire dal 12 agosto 2012;
- la normativa inerente la solidarietà passiva tributaria nei contratti di appalto e subappalto si applica soltanto agli appalti di opere e servizi e non anche a quelli di fornitura;
- la norma non si presta a interpretazioni estensive, per cui gli unici contratti soggetti alla disciplina della responsabilità solidale tributaria sono i contratti di appalto e subappalto di cui all’art. 1655 Cod Civ, con esclusione di tutte le altre forme contrattuali tipiche previste dallo stesso codice, tra cui quella del contratto d’opera;
- i contratti soggetti alla normativa sulla solidarietà passiva tributaria sono quelli di appalto e subappalto stipulati nell’ambito di attività rilevanti ai fini IVA e ne sono coinvolti il committente, l’appaltatore e gli eventuali subappaltatori, ognuno per i contratti posti in essere nell’ambito della propria attività: tra i committenti è esplicitamente escluso il condominio.
Il condominio quindi non sarebbe stato in ogni caso chiamato a rispondere della violazione degli obblighi contributivi dei propri appaltatori, per cui la sospensione del pagamento fino all'avvenuta documentazione della regolarità contributiva non avrebbe dovuto comunque essere ritenuta una pratica corretta in ambito condominiale.
Tutto questo sistema viene comunque meno con la completa abrogazione da parte del decreto cosiddetto "semplificazioni" (D. Lgs. 175/14) dei commi 28 e seguenti dell'art 35 della L 248/06.
In linea di massima, si ritiene che le problematiche sanzionatorie (sanzione amministrativa da 5.000 a 200.000 E) a carico del committente vengano a decadere anche per il passato."

Non vi sono quindi problemi nel caso in cui i lavori (edili) siano stati eseguiti e completamente pagati in assenza di DURC, se l'esecuzione dei lavori non ha dato adito a contestazioni in relazione alla capacità tecnica dell'appaltatore.
 
• Ampliamento immobile posto all'ultimo piano e lavori di manutenzione al tetto e al lastrico solare
Argomento: SOPRAELEVAZIONE
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Domanda
 
Nel 1985 ho acquistato un appartamento al piano attico che era stato ampliato, dal precedente proprietario, allargandosi sul lastrico solare verso il muro di confine con altro condominio, creando cosi una superficie di circa 16 mq. Questo ampliamento è stato da lui sanato e condonato prima del mio acquisto. Ora vanno fatti lavori di manutenzione straordinaria e io mi trovo da due anni con vistose infiltrazioni d'acqua piovana in casa sopratutto nella parte non ampliata, poiché il tetto è costituito da un lastrico solare non calpestabile dove si trova un bocchettone di scarico delle acque piovane che spesso si ostruisce in quanto, mancando delle ringhiere di protezione, non viene effettuata alcuna manutenzione. Ora come vanno divise le spese? L’amministratrice mi dice che il tetto della parte condonata è mio e quindi la sua manutenzione è totalmente a mio carico. Inoltre per la parte di tetto/lastrico che copre la mia casa la divisione delle spese è un terzo a me e due terzi al condominio.
Sulla copertina che circonda il lastrico sono appoggiati da 10 anni tre condizionatori, ora mi si dice che devono essere spostati e che vanno messi a sbalzo sulla facciata. Poiché si faranno anche i lavori di rifacimento della facciata, nei quali è previsto per gli altri appartamenti lo smontaggio e il rimontaggio dei condizionatori posso richiedere anche per me lo stesso o lo devo pagare a parte, come mi è sembrato di capire. 
Ed in ultimo sul tetto del lastrico c'è ancora un riparo che conteneva un autoclave, prima che arrivasse l'acqua diretta. Quando hanno smantellato i cassoni avrebbero dovuto togliere anche quello, ma ora a chi spetta la spesa? 
 
Risposta di Antonio Romano
 
Per la parte di lastrico solare coperta, in effetti è possibile ritenere che l’incorporazione nell’unità immobiliare di Sua attuale proprietà ne abbia determinato l’acquisto a favore del proprietario dell'unità immobiliare che ne beneficia, per usucapione, anche in assenza di atti formali, perchè l’avvenuta incorporazione esclude gli altri condomini dall’utilizzo della corrispondente porzione di lastrico solare. Questo ragionamento però non si estende alla porzione di lastrico solare non calpestabile rimasta libera. Se abbiamo inteso correttamente la Sua descrizione dello stato dei luoghi, in effetti, una parte del lastrico solare resta non coperta da altri manufatti e quindi continua a svolgere in modo esclusivo la propria originaria funzione di copertura del fabbricato.
Occorre comunque considerare che anche la parte di lastrico solare di proprietà esclusiva o comunque di uso esclusivo di un singolo condomino, assolve alla funzione di copertura nei confronti degli appartamenti sottostanti.
Ne consegue che, anche se esso appartiene in proprietà e se è attribuito in uso esclusivo ad uno dei condomini, all'obbligo di provvedere alla sua riparazione o alla sua ricostruzione sono tenuti tutti i condomini, in concorso con il proprietario o con il titolare del diritto di uso esclusivo, secondo le proporzioni stabilite dall'art. 1126 Cod Civ, vale a dire i condomini ai quali il lastrico serve da copertura, in proporzione ai due terzi, ed il titolare della proprietà o dell'uso esclusivo, in ragione della altre utilità, nella misura del terzo residuo (Cass. Civ., sentenza n. 26239/2007).
Per quanto riguarda invece la parte scoperta, in considerazione della circostanza che la funzione specifica ed esclusiva di questa parte del lastrico solare è quella di dare copertura al fabbricato, la relativa riparazione sarà pertinenza di tutti i condomini, in base ai rispettivi millesimi, senza quindi applicazione del criterio 1/3, 2/3 di cui all’art 1126 Cod Civ, perchè il presupposto di applicazione di questa norma, che introduce un criterio speciale di ripartizione delle spese rispetto a quello millesimale ordinario di cui all’art 1123 comma 1 Cod Civ, è la circostanza che sia attribuito l’uso esclusivo del lastrico solare ad un condomino con esclusione degli altri, circostanza che non si verifica con riferimento alla parte di lastrico solare non calpestabile, non incorporata.
Quindi, a nostro avviso e salvo diversi espliciti accordi, le eventuali spese di sistemazione della parte di lastrico solare coperta gravano su di Lei e sui proprietari degli appartamenti sottostanti rispettivamente nella misura di 1/3 e 2/3, mentre le spese di sistemazione della parte di lastrico solare scoperta gravano su tutti I condomini (Lei compresa) e vanno ripartite su base millesimale “pura”.
Salvo disposizioni della Pubblica Amministrazione e salvo la presenza di norme specifiche nel Vostro Regolamento di Condominio, le unità esterne dei condizionatori possono restare dove sono, perché ai sensi dell'art 1102 Cod Civ ognuno può utilizzare le parti comuni per il miglior godimento della propria unità immobiliare, salvo il divieto di recare danno al condominio o di impedire ad altri condomini di fare pari uso delle parti comuni. Se i proprietari di tali dispositivi intendono però spostarli in occasione della sistemazione della facciata, devono provvedere allo spostamento a proprie esclusive spese.
Questo principio vale quindi per tutti.
La spesa di spostamento del cassone che conteneva l'autoclave dovrebbe essere ripartita su base millesimale tra tutti i condomini: bisogna però che la decisione sia assunta in assemblea, che si esprime al riguardo a maggioranza semplice, avendo previsto l'argomento all'ordine del giorno.
 
• Amministratore: obbligo di allegare il rendiconto, ordine del giorno e indicazione dei condomini che ne fanno richiesta, attività di prostituzione
Argomento: AMMINISTRATORE
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Domanda
 
1 - E' corretto che l'amministratore non alleghi sulla convocazione il bilancio rendiconto ed è solo disponibile (in giorni e orari nella sua abitazione) alla lettura delle sole pezze giustificative delle spese sostenute?
2 - Sulla convocazione l'amministratore pur non avendo mai raggiunto il quorum della maggioranza da due anni ha scritto “conferma amministratore”. E' giusta questa dicitura? E se è si, se non dovesse essere riconfermata, possiamo lo stesso giorno rinominare un altro amministratore o dobbiamo fare una nuova assemblea per la solo nomina?
3 - E' corretto mettere nella convocazione argomenti indicando i condomini che ne fanno richiesta (ovvero facendo i nomi e cognomi)?
4 - E' corretto mettere in bacheca la dicitura "in questo stabile è vietata la prostituzione"? Mi sono informato in prefettura che pur essendo la prostituzione non vietata dalla legge in casa, se però all'interno dell'appartamento vi sono più di una persona che opera questo mestiere è da considerarsi "casa chiusa" ovvero viola il codice penale che vieta lo sfruttamento, poiché una delle due persone potrebbe essere lo/a sfruttatore/trice dell'altra. E' giusta questa ipotesi? 
 
Risposta di Antonio Romano
 
L’amministratore non è obbligato formalmente ad allegare il rendiconto alla convocazione dell’assemblea, anche se questa è stata convocata, tra l’altro, proprio per esprimersi sul rendiconto medesimo. Non vi sono, infatti, norme esplicite in questo senso. Tuttavia, l’allegazione del rendiconto alla convocazione è prassi estremamente diffusa e ben consolidata
La Magistratura ha avuto modo di precisare che “la mancata disponibilità della documentazione contabile in sede di approvazione del consuntivo da parte dei condomini comporta la violazione, da parte dell'amministratore, dell'obbligo di rendiconto e la conseguente invalidità della delibera di approvazione, ciò che non si verifica quando la disponibilità della documentazione manchi in sede di approvazione del preventivo dove, normalmente, l'approvazione della previsione di spesa viene fatta sulla base della gestione dell'anno precedente, e dove, soprattutto, la documentazione sulle spese potrà essere conseguita una volta che esse siano state effettuate, e non in via preventiva” (Cassazione Civile, sentenza n. 11940/2003).
Quindi, quanto meno in sede di assemblea, l’amministratore dovrebbe avere a disposizione tutta la documentazione contabile necessaria ad un effettivo controllo sul rendiconto da parte dei condomini, diversamente la delibera è annullabile e può essere impugnata.
Per quanto riguarda il mandato dell’amministratore, il nuovo comma 10 dell'art 1129 Cod Civ conferma la durata annuale dell'incarico. Precisa però che "questo si intende rinnovato per eguale durata": questa disposizione incide profondamente sul regime di proroga, che assume profili completamente diversi a seconda dell'interpretazione della norma.
La Giurisprudenza non ha avuto modo di pronunciarsi al riguardo e la dottrina si muove in ordine sparso.
In linea di massima, si può affermare che, se prima della riforma l'incarico dell'amministratore durava un anno e necessitava, per la sua prosecuzione, di una ulteriore delibera assunta con la maggioranza prevista nel comma 2 dell'art 1136 Cod Civ, la nuova regolazione rende evidente che non ci sarà bisogno di una conferma specifica.
L'ordine del giorno non recherà più l'indicazione "nomina amministratore", ma eventualmente "revoca amministratore", se richiesto dai condomini (formalmente ex art 66 Disp Att Cod Civ da almeno due condomini che rappresentino almeno 1/6 dei millesimi).
Trattandosi di un contratto di durata, in mancanza di intenzione contraria, si concreta la volontà dell'assemblea di proseguire nel rapporto, per cui questo prosegue alle stesse condizioni del precedente, con l'adempimento connesso al comma 14 dell'art 1129 Cod Civ che impone all'amministratore, all'atto del rinnovo, di specificare nuovamente comunque, a pena di nullità, l'importo preteso a titolo di compenso, come pure con gli adempimenti di cui al comma 2 Cod Civ.
Si ritiene che l'obiettivo del legislatore sia stato il superamento del regime di proroga: si tratta infatti di un rinnovo del mandato e non di proroga dei poteri.
La riforma ha quindi introdotto per l'amministratore di condominio una stabilizzazione nell'incarico certamente opportuna ed innovativa a cui fa da "contrappeso" l'ampliamento delle ipotesi di giusta causa di revoca anche giudiziale di cui al nuovo comma 12 dell'art 1129 Cod Civ.
Quindi indicare “conferma amministratore” nell’ordine del giorno non appare in aperto contrasto con la legge, ma ricordi che, se matura tra i condomini la determinazione di revocare la fiducia al professionista in carica, occorre pretendere che l’ordine del giorno riporti la voce “revoca dell’amministratore”.
L’assemblea convocata per la revoca dell’amministratore in carica può validamente esprimersi anche per la nomina di un altro amministratore (art 1129 comma 10 Cod Civ).
L’indicazione nell’ordine del giorno del nome dei condomini che hanno chiesto la discussione dei vari argomenti in esso indicati è una prassi davvero insolita, ma in effetti non rappresenta una violazione di norme di legge e può quindi essere ritenuta lecita.
L’affissione in bacheca di un cartello riportante il divieto di svolgere la prostituzione in condominio è completamente inutile e, a dire il vero, non è corretto.
Per il diritto italiano la prostituzione è lecita e, pertanto, chiunque è libero di offrire le proprie prestazioni sessuali in cambio di un corrispettivo. Ad essere illecito è invece lo sfruttamento ed il favoreggiamento della prostituzione secondo l’art. 3 della L. 75/1958 (la legge nota come “Legge Merlin”).
In assenza di limiti espliciti contenuti nel regolamento contrattuale di condominio (il regolamento allegato al rogito o da questo richiamato), ognuno può quindi utilizzare la propria unità immobiliare come meglio crede, se svolge attività lecite.
L’art. 3 comma 1 della L. 75/1958 punisce invece “chiunque, avendo la proprietà o l'amministrazione di una casa od altro locale, li conceda in locazione a scopo di esercizio di una casa di prostituzione” nonché “chiunque in qualsiasi modo favorisca o sfrutti la prostituzione altrui”.  
L’ipotesi sanzionatoria specifica riguarda quindi chi affitti un immobile perché venga destinato a casa di prostituzione, ma non ogni locazione di immobile ad una prostituta integra gli estremi del reato di cui sopra, dovendo sussistere una reale e concreta volontà da parte del locatore di favorire o peggio sfruttare l’esercizio della prostituzione.
Infatti, perché la locazione assuma i connotati della condotta penalmente rilevante sono necessarie “prestazioni e attività ulteriori rispetto a quella della semplice concessione in locazione a prezzo di mercato” (Cass. Pen. sentenza n. 28/2013): sarebbe il caso appunto del percepimento di un canone di locazione superiore, in maniera rilevante, rispetto al mercato.
Fatta questa premessa, si può dire che, in nessun caso, il condominio o l’amministratore può essere ritenuto in qualche modo responsabile della commissione del reato in questione, a meno che non sia lo stesso condominio che concede in locazione una parte comune (per esempio i locali a disposizione del portiere) per lo svolgimento della “professione”.
Se peraltro l’amministratore o i condomini fossero a conoscenza della commissione del reato di sfruttamento della prostituzione (anche se, come detto sopra, non basta la presenza di una persona che si prostituisca in una delle unità immobiliari, ma sarebbe necessario essere al corrente del suo sfruttamento) a mettere al riparo dalla contestazione della eventuale complicità nella sua commissione non basterebbe certo un cartello.
• La partecipazione dei conduttori all'assemblea di condominio
Argomento: ASSEMBLEA
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Domanda
 
Circa l'obbligo e le conseguenze della mancata convocazione dei conduttori alla riunione condominiale; possono impugnare la delibera? Debbono essere convocati solo per specifici argomenti? Poichè siamo lontani dall'avere un registro anagrafe condominiale completo, purtroppo la cosa viene vista come una seccatura in molti casi e siamo nella condizione di dover sollecitare più volte la compilazione e restituzione dell'apposito modello.
 
Risposta di Antonio Romano
 
La legge di riforma del condominio ha introdotto importanti innovazioni in relazione alla questione di Suo interesse e quindi in relazione alla convocazione degli inquilini per la partecipazione all’assemblea di condominio. Il nuovo testo dell’art 1136 comma 6 Cod Civ e dell’art 66 comma 3 Disp Att Cod Civ non fanno più riferimento ai “condomini” come destinatari dell’avviso di convocazione dell’assemblea, ma agli “aventi diritto”. Tutti i commentatori hanno ritenuto che questa modifica nel testo delle norme in questione sia da intendere nel senso per cui, a partire dalla data di entrata in vigore della legge di riforma del condominio, anche i conduttori devono essere convocati dall'amministratore di condominio a partecipare all'assemblea condominiale nelle materie di loro competenza.
“Aventi diritto a partecipare”, sono, in effetti, non solo i proprietari, ma tutti coloro ai quali la legge riconosce questa facoltà.
L’articolo 10 della legge 392/1978 (comma 1) attribuisce al conduttore il diritto di voto, al posto del proprietario, nelle delibere dell’assemblea condominiale relative alle spese e alle modalità di gestione dei servizi di riscaldamento e di condizionamento d’aria; inoltre dispone (comma2) che il conduttore ha diritto di intervenire, senza diritto di voto, nelle delibere relative alla modificazione degli altri servizi comuni.
Per effetto di questa norma, però, il rapporto di locazione e quello di condominio non interferiscono tra loro: si stabilisce, piuttosto, il diritto di intervento del conduttore in luogo del proprietario locatore essenzialmente a tutela dei propri diritti ed interessi, potenzialmente contrapposti a quelli di quest’ultimo. Secondo la Giurisprudenza si tratta solo di una sostituzione legale del conduttore al locatore, correlata all’incombenza dell’onere delle relative spese (articolo 9 L 392/1978), quindi rilevante unicamente all’interno del rapporto contrattuale tra locatore e conduttore, senza cioè alcun rilievo per il condominio.
Nella sentenza della Corte di Cassazione n. 4802/92 si legge infatti che “l’art 10 della L 392/78 non ha comportato modificazioni al disposto dell'art. 66 Disp Att Cod Civ, che disciplina la comunicazione dell'avviso di convocazione dell'assemblea dei condomini, con la conseguenza che tale avviso deve essere comunicato al proprietario e non anche al conduttore dell'appartamento, restando solo lo stesso proprietario tenuto ad informare il conduttore dell'avviso di convocazione ricevuto dall'amministratore, senza che le conseguenze della mancata convocazione del conduttore possano farsi ricadere sul condominio, che rimane estraneo
al rapporto di locazione".
Questo principio cambia con la riforma del condominio.
Attualmente, si ritiene quindi che l'amministratore deve necessariamente convocare gli aventi diritto a
partecipare all'assemblea di condominio, che altrimenti non può deliberare regolarmente. Poichè tra gli “aventi
diritto” ci sono i conduttori, l'amministratore, nei casi individuati dall'art. 10 della legge n. 392/78 (solo in questi casi), deve convocare i conduttori.
Detto questo, però, resta da chiarire se il conduttore non convocato o comunque dissenziente ha egli stesso la legittimazione ad impugnare una delibera dell’assemblea di condominio.
Da questo punto di vista, occorre affermare che la possibilità di impugnazione della delibera da parte degli inquilini è alquanto limitata: l'inquilino ha, infatti, certamente diritto di impugnare esclusivamente le deliberazioni che abbiano ad oggetto le spese e le modalità di gestione dei servizi di riscaldamento e di condizionamento d'aria: “al di fuori delle situazioni richiamate, la norma in esame (art 10 L 392/78) non attribuisce all'inquilino il potere generale di sostituirvi al proprietario nella gestione dei servizi condominiali, sicché deve escludersi la legittimazione del conduttore ad impugnare la deliberazione dell'assemblea condominiale di nomina dell'amministratore e di approvazione del regolamento di condominio e del bilancio preventivo” (Cassazione sentenza n. 8755/93).
Una posizione recentemente confermata, in termini più ampi, dalla giurisprudenza della Cassazione nella sentenza n. 13204/2015 secondo cui in caso di annullabilità, l'impugnazione spetta ai soli condomini e non anche ai conduttori di un alloggio condominiale, pur essendo interessati dagli effetti della delibera stessa.
Nella sentenza sopracitata la Cassazione precisa che l'eventuale difetto di quorum costitutivo e deliberativo, può essere fatto valere (solo) dai condomini assenti o dissenzienti con l'azione prevista dall'art. 1137 Cod. Civ. e non dall’inquilino che resta una parte terza estranea al condominio.
• La legge 220/12 e l'attività di amministratore di condominio?
Argomento: AMMINISTRATORE
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Domanda

La legge 220/12 consente alle cooperative, nell'ambito delle società indicate al Titolo V del c.c. di svolgere attività di amministratore di condominio?

Risposta di Antonio Romano

 

Tra le novità introdotte dal legislatore con la legge di riforma del condominio, vi è, accogliendo le indicazioni della giurisprudenza, l'indicazione esplicita che l’incarico di amministratore di condominio può essere svolto anche dalle società indicate nel Titolo V del Libro V del Codice Civile ossia le società di persone e le società di capitali. L’importante è che i requisiti indicati dall’art. 71 bis delle Disposizioni di Attuazione del Codice Civile siano posseduti dai soggetti che rispondono delle azioni della società o che effettivamente svolgano l’attività di amministratore di condominio. Quindi in una società a nome collettivo da tutti i soci, in una società di capitali l’amministratore oppure i dipendenti o i collaboratori incaricati di amministrare il condominio. Dovremmo però ritenere che non sia possibile affidare l’incarico di amministratore condominiale alle cooperative, dato il mancato richiamo alle norme di riferimento.
In effetti, la legge sulle professioni non organizzate n. 4 del 2013, tra cui rientra anche l’attività di amministratore di condominio, all’art. 1 comma 5 dispone che la professione possa essere esercitata anche in forma associata o di cooperativa.
Tuttavia, l’art. 71 bis Disp Att Cod Civ dispone che “Possono svolgere l’incarico di amministratore di condominio anche società di cui al titolo V del libro V del codice. In tal caso, i requisiti devono essere posseduti dai soci illimitatamente responsabili, dagli amministratori e dai dipendenti incaricati di svolgere le funzioni di amministrazione dei condomini a favore dei quali la società presta i servizi”.
Il legislatore apre con questa frase ad un ventaglio molto vasto di possibili configurazioni societarie che potrebbero essere utilizzate. Il Titolo quinto del Libro quinto del Codice Civile comprende, infatti, la quasi totalità delle forme societarie previste dall’ordinamento: le società di persone, delle quali fanno parte la società semplice, le società in nome collettivo e in accomandita semplice e le società di capitali, comprendenti la società per azioni, la società a responsabilità limitata e in accomandita per azioni.
Le cooperative sono però regolate nel Libro VI del Titolo V del Codice Civile a cui, in effetti, l'art 71 bis Disp Att Cod Civ non fa riferimento.
La norma specifica contenuta nel Codice Civile, prevale sulla piú generica previsione della L 4/2013 e conduce quindi alla conseguenza di dover verosimilmente escludere la possibilità di svolgere la professione di amministratore di condominio in forma di società cooperativa
• Ripartizione delle spese, condominio chiamato in causa
Argomento: CONTROVERSIE
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Domanda

Una condòmina chiama in causa il condominio per una questione attinente alla decisione di ripartire una spesa secondo la condòmina non attinente al regolamento condominiale. Il condominio deve anticipare le spese legali. Queste spese a chi devono essere attribuite? a tutti i condòmini compresa la condòmina che ha chiamato in causa il condominio o fra tutti i condòmini esclusa la condòmina in questione?

Risposta di Antonio Romano

Nel corso del tempo la Giurisprudenza ha avuto modo di esprimersi in diverse occasioni al riguardo, considerando vari aspetti del problema che assume profili diversi a seconda che si consideri il condominio come "attore" o come "convenuto" in un procedimento giudiziario.
Dal punto di vista "attivo", nel caso in cui la lite rientri nell’ambito delle attribuzioni dell’amministratore, quali sono dettagliate dall’art. 1130 Cod. Civ., questi potrebbe avviare la controversia senza il preventivo voto assembleare (Cass. 02.03.98 n. 2259).
L’amministratore può, comunque, ritenere opportuno sottoporre l’intenzione di avviare la lite all’assemblea che si pronuncia a maggioranza (maggioranza intervenuti in assemblea che rappresentino almeno 500/1000 cfr. art 1136 4° comma Cod. Civ.): in tal caso uno o più condomini possono dissociarsi.
Il condomino che dissente può separare la propria responsabilità in ordine alla soccombenza; questo in sostanza significa una ripartizione delle spese secondo lo schema seguente:
- spese legali proprie (condominio soccombente): ripartite tra tutti tranne dissenzienti
- spese legali proprie non addebitabili a controparte (condominio vittorioso): ripartite tra tutti (anche dissenzienti se hanno comunque tratto vantaggio dalla sentenza favorevole)‏
- spese per adempiere alla sentenza che vede il condominio soccombente (il giudice ordina al condominio di pagare somme di denaro ovvero di fare qualcosa): ripartite comunque tra tutti (anche dissenzienti)‏
- spese legali di controparte (ci sono solo se condominio soccombente e se liquidate dal giudice): ripartite tra tutti tranne dissenzienti.
Se invece il condominio è convenuto in giudizio, come nel caso di interesse, allora la questione assume una rilevanza particolare nel caso in cui sia uno tra i condomini ad agire.
Il principio affermato dalla Giurisprudenza è che in caso di liti tra singoli condomini e condominio si viene a creare una separazione di interessi che comporta anche la ripartizione delle spese tra i due diversi centri di interesse, per cui non possono essere poste a carico di coloro che hanno promosso la lite le spese sostenute dal condominio per resistere in giudizio.
Così infatti ha deciso il Tribunale di Torino, sentenza n. 7005 del 14 ottobre 2009, il Tribunale di Milano, sentenza del 13 aprile 1989 e da ultimo il Tribunale di Genova, sentenza del 29.03.2012.
In tale ultima sentenza si legge che "Quando vi è una controversia giudiziale tra il condominio ed un singolo condomino, si viene a creare un separazione di interessi fra quest'ultimo ed il resto della compagine condominiale. Tale circostanza comporta che tutte le spese conseguenti alla lite debbano essere ripartite tenendo conto dei differenti centri di interesse e quindi con esclusione del condomino che, nella controversia, si pone in posizione contrapposta rispetto al condominio".
La condomina che ha citato in giudizio il condominio non dovrà quindi essere onerata dall'anticipazione delle spese di lite
• Delibera assembleare relativa anche alla rimozione di vetro-cemento
Argomento: ASSEMBLEA
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Domanda

 

In qualità di Amministratore pongo alla vostra cortese attenzione un quesito sorto in fase di ultimazione dei lavori di ristrutturazione della palazzina -rifacimento della facciata, pavimentazione del porticato con eliminazione dei mattoni vetro cemento che insistono nei singoli garage sottostanti.

Nell'esecuzione dei lavori riguardante la pavimentazione , a seguito della richiesta ,fatta pervenire ai singoli proprietari dei garagi ,di rendere le chiavi degli stessi garage alle maestranze al fine di poter effettuare i lavori programmati (cioè eliminazione del vetro cemento, rifacimento della parte solaio con conseguente rifacimento del massetto, posa della guaina e pavimentazione del porticato), il proprietario del garage non proprietario di immobile, che pesa nella proprietà con 8 millesimi, tramite nota del suo avv  in data 6. 9. 2015 faceva opposizione chiedendo "immediata sospensione dell'esecuzione dei lavori condominiali ai locali garage...."

Alla controparte ho notificato soltanto due verbali.

verb. n 5 del 22.8.2014 ..apertura delle buste contenente i preventivi richiesti;

verb. n 7 del 3.9.2014  Affidamento dei lavori di manutenzione ordinaria.

Lo stesso comunque non è stato mai presente alle assemblee condominiali. 

Cortesemente chiedo:

Può l'avv chiedere la sospensione dell'esecuzione dei lavori oltre al garage del proprio assistito anche degl altri proprietari favorevoli tutti all'esecuzione dei lavori in argomento?

Può il singolo proprietario di 8 mml  di proprietà rifiutarsi di aprire il garage e di conseguenza non permettere di realizzare i lavori programmati e deliberati da tutti condomini?

Possiamo vantare come condominio che detti lavori sono stati previsti perchè i manufatti vetro cemento cominciavano a costituire fonte di pericolo per le persone essendo uno rotto e gli altri dopo circa 40 anni mostrano segni molto evidenti di assestamento risultando non in linea con la pavimentazione? 

 

Possiamo vantare diritti perché tale azione, sarà causa di mancato raggiungimento della sicurezza per i pedoni e poi perchè con la sua opposizione la pavimentazione sarà realizzata parzialmente con pregiudizio del decoro della palazzina? 

 

 

Risposta di Antonio Romano

 

L’avvocato del condomino proprietario del box non può ostacolare l’esecuzione dei lavori che riguardano parti comuni e che sono stati deliberati in assemblea.

Avendo l’assemblea approvato i lavori ed essendo trascorsi i trenta giorni per l’impugnazione della delibera di approvazione, l’unico strumento che ha il condomino resistente e il suo avvocato per opporsi all'esecuzione dei lavori è l’impugnazione della delibera assembleare – avviando quindi un procedimento giudiziale – facendone valere la nullità assoluta, se può sostenere argomenti pertinenti al riguardo e chiedendo al Giudice già nell’atto di citazione, ossia nel documento che introduce il procedimento giudiziale, la sospensione dell’esecuzione della delibera assembleare.

Non è peraltro facile sostenere la nullità di una delibera assembleare, perché si tratta di dimostrare che l'assemblea ha deliberato in danno del condomino interessato o eccedendo i propri poteri.

Certo però che se di fatto il condomino non consente l’accesso al proprio box, il condominio non può comunque agire di forza; l'amministratore, ad esempio, non può rompere la serratura ed accedere al box in questione.

Tuttavia il condominio, con l'assistenza di un avvocato, può avviare un procedimento d'urgenza chiedendo al Tribunale di ordinare al condomino la consegna delle chiavi. In questo caso la circostanza che la mancata esecuzione dei lavori possa creare una situazione di pericolo alle persone può essere rilevante a favore del condominio.

il condomino interessato può opporsi all'iniziativa giudiziale del condominio, ma rischia che il Tribunale nel dargli torto, avendo verificato il buon diritto del condominio all’esecuzione dei lavori e il pericolo che il ritardo si traduca in un danno per il condominio medesimo, di subire la cosiddetta “lite temeraria”. In pratica il condomino resistente rischia di trovarsi condannato al pagamento non solo delle spese legali sostenute dal condominio, ma ai sensi dell’art. 96 del Codice di Procedura Civile “… quando pronuncia sulle spese ai sensi dell'art. 91, il Giudice, anche d'ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata".

 

Il condomino proprietario del box, quindi, potrà creare problemi concreti al condominio, ma rischia di dover subire un pregiudizio economico anche molto rilevante.
Occorre osservare che, se l'intervento di manutenzione deliberato non si limita al ripristino della pavimentazione preesistente, ma, eliminando le mattonelle di vetrocemento, conduce all'eliminazione dell'unica sorgente di luce naturale dei box,  la delibera assembleare potrebbe concretamente presentare profili di nullità che l'avvocato del condomino resistente potrebbe far valere in sede giudiziaria, anche se decorso il termine di trenta giorni dalla data della delibera. 

 

La modifica della pavimentazione potrebbe infatti essere ritenuta dannosa per il condomino proprietario del box che si trova a doversi servire necessariamente di illuminazione artificiale.
Malgrado quindi la possibilità per il condominio di rivolgersi al Tribunale per ottenere un provvedimento d'urgenza per l'esecuzione della delibera in questione,  sarà opportuno che il condominio medesimo consideri la possibilità che il proprietario del box faccia valere le proprie ragioni con successo in sede di impugnazione della delibera.

• Versamenti IMU: vanno comunicati all'Amministratore per ottenere le detrazioni?
Argomento: PROFILI FISCALI
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Domanda

Per il rilascio della dichiarazione ai fini delle detrazioni fiscali sui lavori straordinari l'amministratore nel verbale dell'assemblea ha scritto "i condomini presentando l'IMU versata per la proprietà individuale potranno beneficiare della certificazione per la detrazione fiscale...". La richiesta del pagamento dell'IMU per il rilascio di una dichiarazione che attesti quanto uno ha versato per i lavori ecc. non è del tutto infondata?

Risposta di Antonio Romano

In effetti, l'amministratore deve semplicemente rilasciare ai condomini l'attestazione delle somme detraibili elaborata sulla base della tabella millesimale in relazione ai pagamenti effettuati dall'amministratore ai fornitori: non può rifiutarsi di rilasciare tale documentazione, perché l'esecuzione degli adempimenti fiscali é una delle sue attribuzioni secondo il nuovo testo dell'art 1130 Cod Civ.
Non deve verificare il regolare pagamento delle imposte comunali da parte dei condomini.
Si consideri peraltro che non si deve inviare all'Agenzia delle Entrate copia delle ricevute di pagamento dei tributi comunali: tali documenti potrebbero essere richiesti in sede di accertamento, ma vanno esibiti solo ed unicamente se richiesti dagli Uffici competenti.

• Problemi nei bilanci
Argomento: BILANCIO CONDOMINIALE
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Domanda

Le spese da addebitare al condomino che ha un inquilino viene ripartito dall'amministratore fra il proprietario e questo. Il proprietario paga le quote di sua competenza e quelle dell'inquilino (poi avrà il rimborso dall'inquilino). L'amministratore, nonostante il richiamo del proprietario fatto anche l'anno scorso, continua a INVENTARE e riportare nel consuntivo importi di acconti versati dall'inquilino (mai fatti). E' corretto? Non è un falso?

Risposta di Antonio Romano

Dal punto di vista della correttezza del bilancio, quello che conta é se gli acconti indicati sono effettivamente stati versati. Il rapporto proprietario – inquilino non è rilevante per il condominio, per cui la circostanza che i versamenti non siano stati fatti dall'inquilino ma dal proprietario non appare una grave irregolarità, almeno dal punto di vista contabile.
Tuttavia, la presenza nel bilancio di scritture non vere potrebbe esporre l'amministratore al rischio di querela ai sensi dell'art. 485 Cod. Pen. "Falsità in scrittura privata", anche se il presupposto del reato é il fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, circostanze che devono essere provate dal querelante.

• In caso di condominio con più edifici
Argomento: CONDOMINIO
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Domanda

In un Condominio composto da 4 edifici distinti con stradelli, fognature, illuminazione giardini ecc. comuni a tutti è corretto far approvare in una unica assemblea di tutti i condomini (dei 4 edifici) un unico consuntivo mescolando e comprendendo a) le spese generali delle opere comuni a tutti; b) quelle di ogni edificio; c) quelle ordinarie e quelle straordinarie?

Risposta di Antonio Romano

In presenza di più edifici, gli schemi giuridici di gestione di queste strutture immobiliari possono essere due: il condominio unico (anche se complesso) o il supercondominio. Della questione si è occupata la Corte di Cassazione nella sentenza del 26.07.2012 n. 13262. In sintesi, secondo la Corte, per comprendere se si è in presenza di un condominio unico o di un supercondominio occorre analizzare gli atti risalenti al momento della nascita del condominio.
Quindi per individuare la più corretta veste giuridica – organizzativa utilizzabile,  occorre analizzare il regolamento di condominio oppure, in mancanza, il primo atto di vendita del primo appartamento. Se il regolamento e il primo atto di vendita nulla dicono, un sistema complesso anche di più edifici che hanno in comune il suolo su cui sono costruiti i viali di accesso, l'illuminazione dei viali ed altro è un unico condominio, che, per quanto complesso, sarà sempre amministrato da un unico amministratore e richiederà un'unica assemblea di tutti i proprietari, con un unico rendiconto.  Se, invece, dagli atti risulta che ogni edificio è stato considerato come singolo condominio, si avranno tanti condomini per ogni edificio.
Nel caso di Suo interesse, se si tratta di un unico condominio, assemblea e rendiconto sarà uno solo.
Attenzione però che in caso di spese che riguardano solo una parte dei condomini, l'applicazione dell'art 1123 comma 3 Cod Civ conduce al risultato che nella pur unica assemblea siano coinvolti nel voto e d'altra parte nella ripartizione della spesa solo i condomini a cui giova la parte oggetto degli interventi di manutenzione.  È il caso del  "condominio parziale": si è in presenza di condominio parziale quando "le cose, i servizi e gli impianti, per oggettivi caratteri materiali e funzionali, sono necessari per l'esistenza e per l'uso, ovvero sono destinati all'uso o al servizio, non di tutto l'edificio ma di una sola parte o di alcune parti di esso" (Cass. Civ.  n. 7885/1994).
Il condominio parziale così identificato costituisce una entità autonoma e indipendente dalle altre entità (cioè dagli altri condomini) e di questa situazione si dovrà tenere conto sia in sede di votazione che di bilancio.

• Le ripartizioni in caso di manutenzione straordinaria
Argomento: MANUTENZIONE STRAORDINARIA
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Domanda

In un condominio c'è la necessità di fare una manutenzione straordinaria in una terrazza per infiltrazioni di acqua, per normale usura dell'impermeabilizzazione. La spesa dei lavori va ripartita secondo l'art. 1126 c.c. tra il condomino che ha in uso esclusivo la superficie superiore e il condomino sottostante? Nel terrazzo in questione, c'è un aggravio di spesa dovuto alla necessità di rimuovere (e di ricollocare) delle piante e altri arredi di proprietà del condomino che ha in uso il terrazzo. Questo aggravio è a carico del solo proprietario delle cose o va ad aggiungersi alla spesa principale dei lavori e quindi ripartito? Il medesimo quesito si porrebbe, per esempio, anche nel caso di un giardino con sottostante zona rimessa per auto, nel quale il condomino che ha l'uso esclusivo del giardino ha posto particolari e costose piante e/o arredi.

Risposta di Antonio Romano

In premessa: il criterio di ripartizione delle spese di cui all'articolo 1126 Cod Civ si applica a tutte le opere che riguardano la sistemazione del manto di copertura inteso nella sua complessa struttura; non quindi solo la guaina catramata, ma anche massetto e mattonelle, perché tutti questi componenti svolgono una funzione utile alla protezione delle unità immobiliari sottostanti.
E' stato osservato che a completo carico dell'utente o proprietario esclusivo del lastrico solare, sono soltanto le spese attinenti a quelle parti di esso del tutto avulse dalla funzione di copertura (ad. le spese attinenti ai parapetti, alle ringhiere ecc, collegate alla sicurezza del calpestio); mentre tutte le altre spese, siano esse di natura ordinaria o straordinaria, perché attinenti alle parti del lastrico solare svolgenti, comunque, funzione di copertura, vanno sempre suddivise fra l'utente o proprietario esclusivo del lastrico solare ed i condomini proprietari degli appartamenti sottostanti il lastrico secondo la proporzione indicata nell'art. 1126 Cod Civ (Cass. 16583/12 che richiama Cass. 2726/02).
Nel caso proposto le spese per la ricollocazione di piante e arredi non hanno attinenza alla funzione di copertura. Occorre però considerare che, sempre secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, il criterio di ripartizione fra i condomini di un edificio delle spese di manutenzione e riparazione del lastrico solare o della terrazza a livello che serva di copertura ai piani sottostanti, fissato dall'art. 1126 Cod Civ, riguarda non solo le spese per il rifacimento o la manutenzione della copertura, ma altresì quelle relative agli interventi che si rendono necessari in via consequenziale e strumentale, sì da doversi considerare come spese accessorie (Cass. 11449/92).
In conclusione, a mio avviso, anche le spese di ricollocazione di piante e arredi del condomino utilizzatore esclusivo del lastrico solare devono essere ripartite seguendo il criterio 1/3, 2/3 di cui all'art 1126 Cod Civ. 

• Il credito per il condominio
Argomento: SPESE
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Domanda

Gli istituti di credito chiedono al Condominio richiedente di una linea di credito (il fido per intenderci) vogliono la la maggioranza come stabilita dal Codice Civile Art. 1136 per le innovazioni. Domanda una linea di credito va assoggettata a una innovazione? Se sì, perchè le Spese straordinarie, con la Riforma del Condominio hanno subito il calo delle maggioranze o addirittura soli di un quorum?

Risposta di Antonio Romano

In effetti la richiesta da parte dell'istituto di credito di una delibera autorizzativa all'amministratore per l'apertura di una linea di credito non stupisce.
La Corte di Cassazione nella sentenza n. 7162/2012 aveva infatti deciso che "L’apertura del conto corrente non richiede dunque specifiche autorizzazioni assembleari, ciò che invece richiederebbe sicuramente l’apertura di una linea di credito bancaria".
La Cassazione non ha avuto modo di precisare quale sarebbe la maggioranza corretta per l'approvazione di una tale decisione, ma in linea di massima, la magistratura ha sempre affermato che la stipula di un contratto, la cui finalità sia il migliore godimento e la migliore gestione dei beni comuni nell'interesse dei condomini possa essere decisa a maggioranza semplice e quindi con le normali maggioranze previste dall'art 1136 Cod Civ in caso di riunione in prima o in seconda convocazione.
Si veda ad esempio Cass 8622/1989 e Cass 10446/98 pronunciate con riferimento alla locazione di un bene comune.
In ogni caso non siamo di fronte ad una innovazione, il cui presupposto è la modifica nella destinazione d'uso dei beni comuni.
Può darsi che la Banca tema la contestazione di non aver ostacolato iniziative dell'amministratore potenzialmente eccedenti le sue competenze.
Al riguardo, però, la diligenza banacaria si esaurisce nella richiesta di esibizione della delibera condominiale autorizzativa.
Mi sembra peraltro interessante, al riguardo, la decisione assunta dall'Arbitro Bancario Finanziario (ABF Decisione n. 482 del 23 gennaio 2013): in quell'occasione il Collegio ha precisato, tra l'altro, che in ogni caso non spetta alla Banca la contestazione della validità della delibera assembleare; la Banca infatti non ha la legittimità di impugnare una delibera quando anche fosse ritenuta assunta con una maggioranza insufficiente.
In conclusione: la Banca può/deve esclusivamente pretendere che l'amministratore dimostri di operare sulla base di una delibera assembleare, ma non ha la possibilità di entrare nel merito della maggioranza necessaria
• La maggioranza condominiale
Argomento: ASSEMBLEA
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Domanda

Condominio costruito 5/6 anni fa, quindi relativamente nuovo.
Nel cortile siamo in presenza di ghiaia, mai in ordine in quanto dove transitano le vetture si creano buche ed avvallamenti. Alcuni condomini "spingono" per realizzare pavimentazione in autobloccante per sistemare definitivamente il problema legato alla manutenzione. A tale proposito sono gia' stato in Comune ed il tecnico preposto mi ha confermato che possiamo installarli nell'ordine del 50% della superficie, in quanto il rimanente 50% deve rimanere permeabile. 
Ho già un progetto di massima.
Il problema e' che alcuni condomini non vorrebbero realizzare questi lavori in quanto lo considerano non necessario.
Importo previsto dai 15.000 ai 20.000 € da suddividersi per i 18 appartamenti.
Come devo comportarmi?
Mi bastano la Maggioranza dei millesimi e la maggioranza dei partecipanti per deliberare e costringere anche i dissenzienti a partecipare alla spesa, od al contrario, deve essere considerata spesa voluttuaria e/o gravosa e quindi i dissenzienti, indipendentemente dalla maggioranza raggiunta, posso non partecipare alla spesa?
Con lo stesso condominio abbiamo parlato anche dell'istallazione di un addolcitore condominiale, ora non presente.
Anche in questo caso ci sono pareri favorevoli e pareri contrari.
L'impianto è strutturato in modo tale che se installato, non è possibile farlo utilizzare solo ad alcuni (quelli che lo vorrebbero montare), e verrebbe utilizzato da tutti.
Come mi devo comportare anche in questo caso?
Dobbiamo agire e comportarci nel medesimo modo di quanto sopra?

Risposta di Antonio Romano

Il presupposto per cui la spesa in questione sia considerata "gravosa" o "voluttuaria", facendo scattare il meccanismo che l'art 1121 Cod Civ prevede "a salvaguardia" dei dissenzienti, è che la medesima sia inquadrabile tra le "innovazioni", nel senso tecnico del termine.
Da questo punto di vista, il problema è che il Codice Civile prevede il concetto di "innovazioni", lo distingue dalla manutenzione ordinaria e straordinaria, anche dal punto di vista pratico delle maggioranze per le relative delibere, ma non ne dà una definizione.
La giurisprudenza, però, ha provveduto in merito, decidendo in modo peraltro piuttosto coerente nel tempo.
Così, ad esempio, la Cassazione (sentenza n. 5101/1986) precisa che per innovazione si intende “solamente quella modificazione materiale (della cosa comune) che ne alteri l’entità sostanziale e ne muti la destinazione originaria…”.
A venti anni di distanza, ribadisce che le innovazioni si intendono "le modifiche materiali o funzionali dirette al miglioramento, uso più comodo o al maggior rendimento delle parti comuni" (Cassazione sentenza n. 12654/2006). 
Ne deriva che l'innovazione è qualcosa di nuovo che prima non c'era, migliorativo di una precedente situazione, ovvero una cosa o un servizio comune già esistente, ma oggetto di trasformazione del bene o del servizio rispetto alla sua originaria destinazione. 
Non tutti gli interventi sulle parti comuni possono quindi essere considerati "innovativi", nel senso del Codice Civile.
La Cassazione, per dare un'idea, ha precisato (Cassazione sentenza del 23 febbraio 2015 n. 3509) che anche l'istallazione di un cancello automatico non è da considerarsi innovazione.
A mio avviso, quindi, le opere da Lei descritte - sia con riferimento alla pavimentazione del cortile che con riferimento all'addolcitore - non dovrebbero essere considerate tali.
La maggioranza per l'approvazione, quindi, volendo considerare le opere come di rilevante entità economica, sarà, a mio avviso, quella prevista dal secondo comma dell'art 1136 Cod Civ e quindi il voto favorevole della maggioranza dei presenti in assemblea che rappresentino almeno 500/1000.
Ad ogni modo, si può anche ragionare sulla questione della "gravosità" o della "voluttuarietà" della spesa, sempre però con la premessa che questo problema si pone per le sole "innovazioni".
Sul punto, la Giurisprudenza ha svolto schematicamente i seguenti ragionamenti:
- la prova della "gravosità" o della "voluttuarietà" deve darla chi contesta (quindi l'onere della prova non è in capo all'amministratore che deve cercare di dimostrare il contrario, ma ai dissenzienti);
- la "gravosità" non va considerata con riferimento alla situazione economica personale dei condomini;
- la "gravosità" attiene solo alle condizioni ed all'importanza dell'edificio: non esistono parametri a priori;
- "voluttuarie" sono quelle innovazioni non strettamente indispensabili o comunque prive di utilità pratica (ad esempio, l’installazione di statue di marmo nell’atrio dell’ingresso).
Penso di poter affermare con obiettiva fondatezza che le opere da Lei descritte certamente "voluttuarie" non sono e nemmeno peraltro "gravose" nel significato tecnico di questo termine: dal punto di vista della "voluttuarietà", l'esempio che spesso si fa in dottrina è quello dell'installazione di un impianto di condizionamento centralizzato in un edifico fatiscente e simili casi di ben altra portata rispetto alle opere che Lei intende proporre.
I concetti in questione, peraltro, non sono stati toccati dalla riforma del condominio, che ha inciso molto sul regime delle innovazioni, ma da altri punti di vista. Volendo fare delle nuove norme un'applicazione in vero un po' estensiva, si potrebbe dire che - con esclusivo riferimento all'addolcitore - il nuovo comma 2 dell'art 1120 Cod Civ, che garantisce l'approvazione a maggioranza "agevolata" delle opere che abitualmente sono dette "socialmente rilevanti", ci dà un elemento di sicurezza in più.
Tra queste opere, il Codice elenca "le opere volte a migliorare (la sicurezza) e la salubrità degli edifici e degli impianti".
In linea di massima, si ritiene che l'impiego di acqua dura per l'alimentazione umana non sia un problema, ma la presenza di elevate concentrazioni di carbonato di calcio crea notoriamente diffusi problemi di incrostazione calcarea, dannosi proprio per gli impianti idrici e gli elettrodomestici di cui accorcia la vita utile.
La maggioranza per l'approvazione è sempre quella di cui sopra riferita quindi al secondo comma dell'art 1136 Cod Civ.
In conclusione, l'approvazione di entrambe le opere in assemblea con le maggioranze di cui sopra dovrebbe mettere la delibera al riparo da contestazioni: a maggioranza raggiunta anche i dissenzienti, pertanto, saranno tenuti a contribuire alla spesa.

 

• Il distacco dal contatore dell'acqua condominiale
Argomento: ACQUA
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Domanda

In un vecchio condominio di otto appartamenti esiste l'impianto di acquedotto con unico contatore centralizzato.

Finora le spese della bolletta dell'acqua sono state ripartite in base alla presenza dei condomini.

Un condomino desidera installare, a proprie spese, un contatore individuale.

Domande:

1) Può esercitare il distacco?

2) Deve ottenere l'approvazione dell'assemblea? con quale maggioranza?

3) Deve fornire una perizia tecnica?

4) La norma di riferimento può essere l'art. 1118 - ultimo comma - del Codice Civile?

Risposta di Antonio Romano

La possibilità di applicare alla fornitura del servizio idrico gli stessi principi giuridici e gli stessi ragionamenti spesi dalla giurisprudenza che si è evoluta nel tempo in materia di distacco dal riscaldamento centralizzato condominiale è sempre stata controversa, anche perchè, mentre numerose sono le sentenze relative al distacco dall'impianto di riscaldamento centralizzato, sono invece difficilmente reperibili sentenze che riguardino il distacco dalla fornitura di acqua erogata a partire da un contatore comune.

Il principio in base al quale il condomino che si distacchi da un impianto centralizzato e fruisca di uno proprio, autonomo, debba continuare, tra l'altro, a pagare le spese relative alla conservazione e manutenzione dell'impianto centralizzato, debba essere applicato anche con riguardo all'impianto idrico, anch'esso compreso tra le cose comuni di cui all'elencazione esposta nell'art. 1117 Cod. Civ., è stato affermato dalla Corte d'Appello di Roma Sezione 4 Civile nella sentenza del 17 giugno 2009, n. 2531.

La decisione è stata fondata sull'art. 1118, secondo comma, Cod Civ, per il quale il condomino non può, rinunziando al diritto sulle cose comuni, sottrarsi al contributo nelle spese per la loro conservazione.

Il testo dell'articolo, modificato dalla riforma del condominio, non è peraltro cambiato in questo comma.

Chiarita quindi la questione della ripartizione delle spese per il mantenimento in funzione dell'impianto e ricordato che, peraltro, lo stesso principio conduce a confermare la responsabilità del condomino distaccato anche per i danni eventualmente causati da perdite dell'impianto condominiale, resta aperto il problema della ripartizione delle spese, in assenza di contatori individuali.

Indubbiamente, infatti, il distacco conduce automaticamente a minori consumi di acqua a livello generale: in questo caso, infatti, non vi sono certamente "squilibri di funzionamento" o "aggravi di spesa", ipotesi considerate impeditive al distacco con riferimento al riscaldamento secondo il nuovo testo dell'art 1118 Cod Civ (4 comma), ma se, come sempre accade, vi è l'uso dell'acqua anche a livello condominiale, ad esempio per pulizie o annaffiamento di aree verdi, diventa difficile calcolare la spesa di competenza del condomino distaccato in assenza di un contatore che contabilizzi il consumo per i servizi condominiali di cui anche il distaccato beneficia.

Anche ammesso che questi si faccia carico della spesa per l'installazione del contatore in questione, resta aperta la questione della maggioranza necessaria per modificare il criterio di ripartizione della spesa relativa ai consumi di acqua dal momento del distacco - e della correlativa installazione del contatore per le utenze comuni - in avanti.

La Cassazione si è infatti occupata del caso in cui il condominio decidesse di installare contatori di acqua individuali per tutti i condomini: in questo caso, la Corte di Cassazione con la sentenza n. 10895/2014, ha dichiarato che l’installazione dei contatori di ripartizione del consumo dell’acqua in ogni singola unità immobiliare può essere deliberata dall’assemblea di condominio, anche se la ripartizione del servizio è disciplinata diversamente dal regolamento contrattuale, per cui l'assemblea può deliberare l’installazione dei contatori di sottrazione in ogni appartamento, anche se il regolamento contrattuale disponga diversamente.

Più recentemente, la Cassazione si è occupata di come si debba ripartire correttamente il consumo di acqua in un condominio totalmente privo di contatori divisionali. In questo caso, la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 17557/2014, ha deciso che, fatta salva la diversa disciplina convenzionale, la ripartizione delle spese della bolletta dell'acqua, in mancanza di contatori di sottrazione installati in ogni singola unità immobiliare, va effettuata (…) in base ai valori millesimali delle singole proprietà.

Non è stata però considerata, nemmeno con riferimento alla determinazione di un principio di diritto, l'ipotesi in cui un condomino intendesse distaccarsi dall'impianto comune.

Nel caso in cui un condomino volesse distaccarsi, si potrebbe quindi pensare che l'unica soluzione risolutiva potrebbe essere un accordo assunto all'unanimità per cui, nell'autorizzare il condomino interessato al distacco, si affronti anche il problema della ripartizione delle spese, disponendo l'installazione, eventualmente sempre a spese del condomino che si distacca, di un contatore per i consumi dei servizi comuni e si affronti possibilmente anche la questione della responsabilità per i danni derivanti dall'impianto di distribuzione dell'acqua e del riparto della spesa per la manutenzione ordinaria/straordinaria del medesimo, escludendo il condomino distaccato ovvero ribadendo per migliore chiarezza la sua contribuzione.

Se invece non fosse possibile raggiungere l'unanimità, il condomino potrà comunque distaccarsi, anche senza autorizzazione assembleare, applicando il principio di cui alla sentenza della Corte d'Appello di Roma citata all'inizio, nel senso di considerare l'ipotesi in questione alla stregua di un caso di applicabilità dell'art 1118 Cod Civ e ora del suo comma 4 relativo al riscaldamento.

La conseguenza sarà che il distaccato dovrà contribuire alla manutenzione dell'impianto ed al risarcimento dei danni causati dal medesimo, come se ne fosse ancora servito.

L'amministratore stimerà la sua contribuzione ai consumi per le utenze comuni. La delibera di approvazione del bilancio redatto applicando un criterio diverso da quanto previsto nel regolamento condominiale - che immaginiamo sia contrattuale - potrà essere impugnata e va considerata annullabile (non nulla perchè la delibera non conterrebbe una disposizione modificativa del regolamento contrattuale, ma semplicemente non lo applicherebbe correttamente).

 

Potrebbe quindi darsi che nessuno intenda far valere l'invalidità della delibera, specie considerando il breve termine di impugnazione in questi casi; potrebbe anche darsi che nessuno mai la faccia valere e si consolidi quindi nel tempo un accordo negoziale per fatti concludenti tra i condomini rivolto ad una diversa regolazione del riparto di questa spesa.

• Se il condominio matura gravi debiti
Argomento: SPESE
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Domanda

A novembre 2012 ho acquistato un appartamento e mi sono reso conto che la gestione dello stesso è stata alquanto problematica, perché inizialmente per i pochi appartamenti venduti gestiva tutto la cooperativa costruttrice, poi è passato in gestione a una società che ha fatto dei conteggi e poi sembra essere fallita; successivamente ci hanno proposto un loro amministratore che noi non abbiamo accettato, per eleggerne uno della zona, che poi si è rilevato un vero disastro. Attualmente abbiamo un altro amministratore che sembra all'altezza del ruolo, ma ci dice che con lui non possiamo risolvere i problemi sorti nel 2012 e 2013, nel frattempo chi come me ha acquistato nel 2012 non ha mai pagato nessuna spesa condominiale (perché non sono mai state richieste) per ben 2 anni. Oggi il debito totale è arrivato a grosse cifre, per le quali in parte vogliamo pagare , e in parte vogliamo contestare, perché abbiamo avuto dei problemi (documentati) con il riscaldamento del nostro appartamento.

Risposta di Antonio Romano

In effetti, situazioni come quella da Lei descritta non sono facili da affrontare. Del resto è molto probabile che nel corso del tempo, se non sono state chieste rate a copertura delle spese condominiali, si siano accumulati debiti del condominio nei confronti di fornitori, i quali, prima o poi, potrebbero avviare azioni di recupero del proprio credito.

E' quindi necessario fare chiarezza sullo stato dei conti del condominio: l'amministratore dovrà necessariamente provvedere al riguardo e relazionare l'assemblea. Nel caso in cui incontrasse gravi difficoltà, l'amministratore potrà farsi assistere da un revisore dei conti, di cui potrà proporre la nomina all'assemblea.

Talvolta, in caso di forti debiti, può essere possibile rinegoziare il dovuto con i fornitori, al fine di ottenere uno sconto sul debito complessivo e condizioni di pagamento "sostenibili" per i condomini: i fornitori sono consapevoli che un recupero forzoso del credito può essere lungo e costoso e non negano a priori la possibilità di un negoziato.

Se poi emergessero casi di appropriazione indebita di quanto versato dai condomini da parte di precedenti amministratori, sarà possibile sporgere denuncia - querela che può sfociare in un'azione legale civile nei confronti di chi avesse in precedenza dolosamente male amministrato il condominio per il proprio tornaconto. Anche in ipotesi meno gravi, in cui la gestione non fosse stata adeguata per errori o trascuratezze, sarà possibile tentare di pretendere il risarcimento del danno dai professionisti che hanno commesso gli errori o che fossero stati trascurati. In astratto, in effetti, non si può escludere la possibilità di agire in giudizio nei confronti della società che per qualche tempo ha amministrato il condominio, sebbene il suo fallimento di fatto preclude la possibilità di avere soddisfazione economica.

Se invece le mancanze nella gestione riguardano la cooperativa edificatrice che a sua volta per un certo tempo ha assunto il mandato di gestione del condominio, sarà possibile far valere la responsabilità della medesima, nel termine di prescrizione di dieci anni.

Anche da questi punti di vista, però, il primo passo è la ricostruzione dei conti del condominio ad opera di un esperto contabile.

Lascia comunque ben sperare la circostanza che l'amministratore che il condominio ha incaricato ora sembri in grado di affrontare la situazione.

Per quanto riguarda la Sua posizione di debitore nei confronti del condominio, consideri con attenzione la richiesta di pagamento degli oneri condominiali che Le viene rivolta dall’amministratore: al condominio basta aver sottoposto il bilancio all'assemblea ed averne ottenuto l'approvazione per poter ottenere nei Suoi confronti un decreto ingiuntivo per il pagamento degli oneri condominiali.

Quanto sopra anche nel caso in cui non si siano ricevuti servizi adeguati, come sembra di intendere dalla Sua mail.

Nel caso in cui si abbiano comunque delle perplessità, in occasione dell'assemblea di bilancio, è opportuno in ogni caso dichiarare - e fare mettere a verbale - che non si approva il bilancio proposto dall'amministratore.

 

In questi casi però, occorre poi impugnare la delibera che dovesse comunque approvarlo entro 30 giorni dalla data in cui si è svolta l'assemblea ovvero, se non vi avesse partecipato, dalla data in cui avesse ricevuto il verbale. L'impugnazione comporta l'avvio di un vero e proprio provvedimento giudiziario, con l'assistenza di un avvocato di fiducia, preceduto dal tentativo di mediazione da svolgersi presso un ente di mediazione autorizzato.”

• L'accesso dei consiglieri agli estratti conto bancari del condominio
Argomento: ASSEMBLEA
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Domanda

A seguito della riforma del condominio, un condomino consigliere vuole vedere gli estratti conto del conto corrente bancario del condominio via mail e non cartacei. Come amministratore ho specificato che, come da art 1129 Cod Civ e sentenze, può visionare e quindi ricevere copia cartacea venendo in ufficio previa timbratura di detti documenti. Secondo lui altri amministratori lo fanno. Potete chiarirci il problema?

Risposta di Antonio Romano

In effetti, l'art 1129 comma 7 Cod Civ garantisce ai condomini (consiglieri o meno) l'accesso alla rendicontazione periodica del conto corrente condominiale "per il tramite dell'amministratore". Ai sensi di tale norma, l'interessato può ottenere dall'amministratore copia della documentazione bancaria in questione a proprie spese.

La norma quindi risolve la questione relativa al diritto dei condomini di accedere alla documentazione bancaria relativa al conto corrente condominiale in senso favorevole, sebbene chiarisca che tale diritto può essere esercitato nei confronti dell'amministratore, in un certo senso legittimando la prassi bancaria che vedeva generalmente negato al singolo condomino l'accesso ai dati bancari quando la richiesta era avanzata nei confronti dell'istituto di credito.

La norma non entra nemmeno indirettamente nella questione della modalità con cui la documentazione debba essere messa a disposizione degli interessati, per cui sarebbe da ritenere legittima qualsiasi modalità con cui l'amministratore assolva a tale incombenza.

Volendo, in effetti, ove l'assemblea si fosse pronunciata in questo senso, l'amministratore potrebbe mettere gli estratti conto a disposizione dei condomini in formato elettronico attraverso il sito internet del condominio.

A nostro avviso, sarebbe però opportuno e consigliabile che, se la documentazione in questione venisse inviata come allegato di posta elettronica – come sarebbe possibile, non essendoci divieti contenuti nella normativa condominiale o in quella specificamente relativa alla privacy - la mail riportasse in calce una dicitura del tipo: "Le informazioni, i dati e le notizie contenute nella presente comunicazione e i relativi allegati sono di natura privata e come tali possono essere riservate e sono, comunque, destinate esclusivamente ai destinatari indicati in epigrafe. La diffusione, distribuzione e/o la copiatura del documento trasmesso da parte di qualsiasi soggetto diverso dal destinatario è proibita, sia ai sensi dell’art. 616 Codice Penale, sia ai sensi del D. Lgs. n. 196/2003. Se avete ricevuto questo messaggio per errore, vi preghiamo di distruggerlo e di darcene immediata comunicazione anche inviando un messaggio di ritorno all’indirizzo e-mail del mittente”.

• L'eliminazione del servizio di portierato
Argomento: PORTIERATO
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Domanda
 
Alcuni condomini, non avendo impugnato la decisione presa nell’assemblea per l’eliminazione del servizio di portineria, a 6 settimane di distanza e con comunicazione inviata al portiere, hanno ottenuto la convocazione di una riunione per il ripristino del servizio di portineria dichiarando la decisione dell’ultima assemblea viziata dal mancato rispetto delle maggioranze secondo un articolo del regolamento condominiale del 1962 che parla del diritto del costruttore di assumere il portiere. Nella riunione in questione si era arrivati a 616.17 mm su 734 aventi diritti al voto di cui 373,50 mm hanno votato per l’eliminazione del servizio e 242.65 mm per il mantenimento. Inoltre la convocazione per la nuova assemblea con 5 punti all'ODG, di cui 3 sul servizio portineria, 1 sulla nomina dei consiglieri e 1 sulla trasmissione atti via email, è stata richiesta da condomini che rappresentavano 249.5 mm di cui 151,32 mm di negozi che non hanno niente a che fare con il servizio di portineria. E’ tutto ciò valido e possibile?
 
Risposta di Antonio Romano
 
Con il voto favorevole della maggioranza dei presenti in assemblea che rappresentino almeno un terzo dei millesimi (in seconda convocazione) si dispone agevolmente l'istituzione o la soppressione del servizio di portineria. In effetti, mentre i locali destinati al servizio portineria fanno parte dell'immobile e perciò il cambiamento del loro uso o la loro vendita necessita di maggioranze speciali o dell'unanimità, la creazione del servizio di portineria, se non previsto nel regolamento contrattuale, come pure la sua soppressione o la sua modifica, non prevedono quorum particolari.
Se invece il servizio è previsto dal regolamento contrattuale, per la sua soppressione la giurisprudenza (Cass. 3708/95) ha ritenuto sufficiente, in prima e seconda convocazione, la maggioranza stabilita dall'articolo 1136, secondo comma, (voto favorevole della maggioranza degli intervenuti in assemblea che rappresentino almeno la metà del valore dell'edificio), trattandosi di una modifica di norme regolamentari per il miglior uso delle cose comuni.
Fatta questa premessa, si può osservare che, se, come sembra, il servizio portineria nel Suo caso è previsto dal regolamento predisposto dal costruttore (il regolamento cosiddetto “contrattuale”), la soppressione del servizio va deliberata con il voto favorevole dalla maggioranza dei presenti in assemblea che rappresentino almeno la metà del valore dell'edificio.
Nello specifico, non è facile comprendere perché vi siano “aventi diritto al voto” in misura minore del totale millesimale in un caso come questo: riterremmo, infatti, che gli aventi diritto al voto, trattandosi di una modifica del regolamento, siano proprio tutti i condomini in rappresentanza di 1.000 millesimi.
Occorre quindi verificare attentamente questa circostanza perché solo se fosse lo stesso regolamento contrattuale a limitare la partecipazione al servizio di portineria ad alcuni tra i condomini (nella misura da Lei indicata), si può allora itenere che, in occasione della prima assemblea, la maggioranza millesimale sia stata effettivamente raggiunta.
Ricordi però che è sempre e comunque necessario verificare la maggioranza considerando il doppio principio di teste e millesimi ed è sempre necessario verificare il corretto quorum costitutivo dell'assemblea anche in questo caso espresso in teste e millesimi e differente tra prima e sonda convocazione: non basta considerare solo il quorum deliberativo millesimale. Nel caso specifico, diamo per scontato che il valore millesimale maggioritario corrisponda anche alla maggioranza delle teste calcolate sui presenti in assemblea.
Su semplice richiesta dei condomini, l'amministratore può comunque ritenere opportuno convocare una nuova assemblea, che può pronunciarsi anche sullo stesso ordine del giorno di un'assemblea precedente o comunque su argomenti analoghi.
I condomini nell'incontro assembleare successivo possono “cambiare idea” e non occorre una maggioranza superiore; occorre però, naturalmente, che l'assemblea sia ritualmente convocata e che si formi la maggioranza corretta in rapporto alla decisione da assumere, in questo caso il voto favorevole della maggioranza dei condomini presenti in assemblea che rappresentino almeno la metà del valore dell'edificio.
Si può affermare, inoltre, che l'amministratore sia “tenuto” a convocare l'assemblea quando la richiesta pervenga da almeno due condomini che rappresentino almeno 1/6 dei millesimi, nel senso che, se l'amministratore non provvede alla convocazione, gli stessi condomini che ne hanno fatto richiesta, vi possono provvedere autonomamente come dispone l'art. 66 delle Disp. Att. al Cod Civ.
 
• Gli oneri di recupero credito in caso di acquisto/vendita dell'unità immobiliare
Argomento: AMMINISTRATORE
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Domanda
 
Poco meno di 13 anni fa ho acquistato un appartamento in un condominio di 18 unità abitative. Nel corso della 1a assemblea condominiale ho scoperto che il condominio aveva in essere un contenzioso con un'impresa edile che aveva effettuato un intervento di manutenzione straordinaria (la tinteggiatura dell'esterno dello stabile). La cosa ha continuato ad essere discussa in varie altre assemblee ma io non ho mai partecipato alle discussioni in quanto si trattava di un intervento antecedente il mio subentro nella proprietà e per il quale la parte venditrice aveva già pagato la parte di sua competenza. Il condominio ha vinto il contenzioso, ma nel frattempo il titolare dell'impresa è deceduto e i suoi eredi hanno rinunciato all'eredità. Adesso l'avvocato del condominio chiede di essere pagato per i suoi servizi e l'amministratore mi dice che io sono responsabile per la parte relativa al mio appartamento (non so ancora se la notula verrà suddivisa per millesimi o se in parti uguali).
Premettendo che all'atto della compravendita la parte venditrice non aveva fatto alcuna menzione di questo contenzioso, la mia domanda è questa: a chi spetta pagare? a me o alla parte venditrice?
 
Risposta di Antonio Romano
 
Se il condominio vede riconosciute le proprie pretese in una azione legale avviata contro un terzo - come nel Suo caso - o contro uno tra i condomini, le spese legali - tra venditore e acquirente di una unità immobiliare in condominio - competono a quello tra i due che era condomino nel momento in cui il condominio ha deliberato in assemblea l'avvio dell'azione legale, perchè l'obbligo di pagare quanto fatturato dal difensore sorge nel momento del conferimento del mandato che avviene a seguito della delibera assembleare (Corte di Cassazione sentenza n. 22034/2008). Se la delibera era antecedente al momento del Suo acquisto, come sembra, il condominio chiederà a Lei validamente la copertura di tali spese, ma, a Sua volta, Lei potrà pretenderne la restituzione da chi Le ha venduto l'immobile.
L'avvocato peraltro chiede validamente al proprio cliente, quindi in questo caso il condominio dove si trova l'unità immobiliare di Sua proprietà, la liquidazione delle proprie spettanze.
Salvo diverse indicazioni presenti nel regolamento contrattuale di condominio, se esistente (si tratta di un documento allegato al rogito o da questo richiamato), la parcella dell'avvocato andrà ripartita tra i condomini su base millesimale e non in parti uguali, come qualsiasi altra spesa relativa a servizi resi nell'interesse del condominio (ad esempio la stessa fattura dell'amministratore).
La circostanza della mancata menzione della lite in corso da parte del venditore al momento della negoziazione della compravendita potrebbe rilevare nel senso che si potrebbe affermare, pur con difficoltà, il mancato rispetto dell'art 1337 Cod Civ che impone alle parti un obbligo di correttezza e buona fede nelle trattative, con il Suo diritto al risarcimento di eventuali ulteriori danni subiti. Il tempo trascorso dalla compravendita (oltre dieci anni) rende però di fatto non percorribile tale strada.
• Il fondo cassa morosità e gli oneri di recupero credito in caso di acquisto/vendita dell'unità immobiliare
Argomento: AMMINISTRATORE
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Domanda

Ho acquistato nel 2012 un appartamento in condominio e ora mi viene richiesta dall'amministratore una quota per "fondo cassa morosità" riguardante una causa per morosità antecedente la data d'acquisto del mio appartamento, ma tuttora in corso (quel condomino non paga da anni e continua a non pagare).

Devo pagare? Forse non mi spetta, visto che quando è stata intentata detta causa io non ero ancora proprietario.

Risposta di Antonio Romano

L'assemblea con decisione assunta a maggioranza può effettivamente deliberare l'istituzione (e la sua successiva integrazione) di un fondo cassa straordinario per far fronte a pagamenti dovuti in caso di morosità di condomini.

Secondo la Corte di Cassazione è infatti consentita all'assemblea la costituzione di un fondo di questo tipo, anche se solo in caso di reale emergenza e a patto che si preveda il rimborso delle somme con il recupero dei debiti del moroso.

Non è ammessa, invece, la costituzione di un fondo cassa per far fronte alle rate non pagate senza avviare le procedure di recupero delle morosità.

"In ipotesi d'effettiva improrogabile urgenza ..., può ritenersi consentita una deliberazione assembleare con la quale, similmente a quanto avviene in un rapporto di mutuo, si tenda a sopperire all'inadempimento del condomino moroso con la costituzione d'un fondo cassa ad hoc tendente ad evitare danni ben più gravi nei confronti dei condomini tutti. Vengono costituiti così l'obbligazione di ciascun condomino di corrispondere la quota di sua pertinenza, come l'obbligazione del condominio di restituire le somme a tal titolo percette una volta identificati i condomini originariamente morosi e recuperato nei loro confronti quanto dagli stessi dovuto per le quote insolute e per i maggiori oneri" (Corte di Cassazione sentenza n. 13631/2001).

Quindi, la richiesta dell'amministratore nel Suo caso, se coerente con quanto approvato in assemblea, può essere legittima.

Per quanto riguarda invece le spese legali che il condominio ha sostenuto e sosterrà per il recupero delle somme dovute dal condomino moroso, occorre fare una distinzione:

- se il condominio dovesse essere soccombente nella causa intentata contro il condomino moroso (ad esempio perchè il condomino riesce a dimostrare che la pretesa del condominio non era corretta), quanto eventualmente dovuto al condomino vittorioso (in linea di massima si tratterà delle spese sostenute per la propria difesa) sarebbe a carico del condomino che ha acquistato l'unità immobiliare in condominio al momento della conclusione della vicenda giudiziaria attualmente in corso, quindi, in questo caso, Lei stesso; 

- se il condominio invece vede riconosciute le proprie pretese, le spese legali - tra venditore e acquirente di una unità immobiliare in condominio - competono a quello tra i due che era condomino nel momento in cui il condominio ha deliberato in assemblea l'avvio dell'azione legale nei confronti del moroso, perché l'obbligo di pagare quanto fatturato dal difensore sorge nel momento del conferimento del mandato che avviene a seguito della delibera assembleare (Corte di Cassazione sentenza n. 22034/2008). Se la delibera era antecedente al 2012, il condominio chiederà a Lei validamente la copertura di tali spese, ma, a Sua volta, Lei potrà pretenderne la restituzione da chi Le ha venduto l'immobile; potrebbe darsi che l'amministratore abbia avviato l'azione legale nei confronti del condomino moroso autonomamente, quindi senza approvazione dell'assemblea. Questo è possibile perchè il recupero del credito del condominio rientra tra i suoi compiti specifici. In questo caso il riferimento è alla esecuzione del mandato da parte dell'avvocato.

Quindi, nel Suo caso, le attività di tutela legale svolte dopo l'acquisto dell'immobile da parte Sua, saranno di Sua competenza, quelle precedenti saranno di competenza di chi Le ha venduto l'immobile (Corte di Cassazione sentenza n. 24654/2010).

• L'uso delle porzioni di proprietà privata in condominio
Argomento: UTILIZZAZIONE DELLE PARTI ESCLUSIVE
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Domanda

In un condominio ho il mio posto auto privato di mia esclusiva proprietà delimitato e con un muro di fondo. Si trova in un garage che serve 5 palazzi in linea per 160 condomini. Ho messo sul fondo in un posto che non disturba nessuno il mio piccolo kayak in plastica (nè ingombrante nè inquinante). I condomini potrebbero comunque obbligarmi a toglierlo?

Risposta di Antonio Romano

Il posto auto delimitato di proprietà privata può essere goduto liberamente dal proprietario anche per il deposito di attrezzature sportive, a condizione che non si creino situazioni di disturbo o di pericolo. Occorre comunque verificare il regolamento di condominio "contrattuale", se esiste, ossia quello allegato al rogito o da questo richiamato dove potrebbero essere validamente contenuti limiti, variamente configurati, al godimento delle parti di proprietà privata. 

L'assemblea invece, in ogni caso, non può regolare l'utilizzo delle porzioni immobiliari di proprietà privata, sia con riferimento alle parti residenziali, che con riferimento ai posti auto.

• Le spese per il riscaldamento e l'obbligo di contribuzione
Argomento: RISCALDAMENTO
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Domanda

E' possibile sapere se in alcuni casi in cui l'unità immobiliare viene utilizzata solo per un breve periodo i condomini sono tenuti ugualmente a pagare per intero la quota spettante del costo di riscaldamento? Mi riferisco ad un condominio ove vi sono degli appartamenti sfitti, oppure in fase di ristrutturazione, oppure ove un condomino non fosse presente per tutto il periodo dell’accensione del riscaldamento, oppure ove un condomino fosse presente per la stagione invernale nell’appartamento, ma solo in determinati periodi, oppure ancora se all‘interno di un appartamento si staccano i radiatori.

Risposta di Antonio Romano

L’art. 1118 Cod Civ stabilisce che un condomino non può sottrarsi all'obbligo di contribuire alle spese comuni, nemmeno rinunciando al relativo servizio, a meno che non venga esonerato da tutti gli altri condomini oppure nel caso in cui il regolamento di condominio contrattuale, ossia allegato al rogito o da questo richiamato, non contenga disposizioni più vantaggiose.

Il proprietario è infatti quasi sempre tenuto a contribuire alle spese condominiali, indipendentemente dal fatto che l'unità immobiliare sia da lui

occupata, concessa in locazione o disabitata: quello che rileva è l’uso potenziale dei servizi condominiali e non l’uso effettivo.

Le eccezioni a questo principio, a parte la presenza di regole favorevoli contenute nel regolamento condominiale contrattuale, sono solo due.

La prima è connessa al distacco definitivo dall’impianto di riscaldamento condominiale, possibile se non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini: in questo caso il condomino che si è reso autonomo – che dovrà comunque contribuire alle spese di manutenzione ordinaria, straordinaria e di messa a norma dell’impianto – sarà esonerato da altri oneri, tipicamente, ad esempio, le spese di combustibile.

La seconda eccezione è legata al principio fissato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 4652/1991: in tale decisione la Corte ha precisato che si può rinunciare a quegli impianti condominiali che devono essere considerati superflui in relazione alle condizioni obiettive e alle esigenze delle moderne concezioni di vita oppure illegali perché vietati da norme imperative, come nel caso della rinuncia all'impianto di autoclave in presenza di un servizio idrico pubblico in grado di erogare acqua a sufficienza oppure del pozzo nero il cui utilizzo è vietato quando è presente una rete fognaria a cui allacciarsi.

• L'Amministratore ed il rinnovo dell'incarico
Argomento: AMMINISTRATORE
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Domanda

L'amministratore che da anni amministra un condominio può avvalersi delle disposizioni dell'art. 1129 Cod Civ per il rinnovo tacito?
 
Inoltre l'amministratore può convocare l'assemblea dopo il tempo massimo previsto per il consuntivo e ritenersi pertanto riconfermato?
 
Può l'amministratore nell'ODG non indicare la voce "rinnovo dell'amministratore" dopo il primo anno?
 
Se i condomini propongono di sostituirlo alla prima scadenza, l'amministratore può chiedere il pagamento anche del secondo anno?
 

Risposta di Antonio Romano

L'amministratore che già amministra un condominio può avvalersi delle disposizioni dell'art. 1129 Cod Civ per il rinnovo tacito che decorre dall'ultimo incarico per un uguale periodo.

L'amministratore, in ogni caso, deve convocare l'assemblea per l'approvazione del consuntivo nei termini di legge e quindi entro 180 giorni dalla fine della gestione (art. 1130 comma 1 n. 10 Cod Civ): se lo fa tardivamente, ai sensi del n. 1 del comma 12 dell'art. 1129 Cod. Civ., è passibile di revoca giudiziale.

L'amministratore potrebbe non indicare nell'ODG il rinnovo dell'incarico dopo il primo anno: attenzione però che deve necessariamente, in occasione dell'assemblea, rendere le informazioni di cui all'art. 1129 Cod. Civ., a cominciare dall'entità del suo emolumento.

I condomini possono pretendere che l'amministratore inserisca nell'ODG dell'assemblea la voce relativa alla sua revoca: in questo caso, la circostanza che l'amministratore convochi l'assemblea per il bilancio e che eventualmente il bilancio venga approvato non significa che l'amministratore debba ritenersi, per questo solo fatto, confermato automaticamente nell'incarico. In quell'assemblea potrebbe infatti raggiungersi la maggioranza necessaria per la revoca dell'amministratore (voto della maggioranza dei presenti in assemblea che rappresentino almeno 500/1000).

In ogni caso – e quindi anche in caso di assemblea senza che l'ODG contenga la voce relativa alla revoca dell'amministratore - se l'amministratore non viene revocato nell'incarico, si intende confermato e può quindi pretendere il pagamento della seconda annualità: anche se si tratta di "rinnovo tacito", pur sempre di rinnovo si tratta.

• Il condominio minimo e l'esecuzione di opere direttamente da parte dei residenti
Argomento: CONDOMINIO
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Domanda

In un condominio di sei unità ci sono solo due proprietari. Uno abita e possiede anche una seconda unità, mentre il secondo ha affittato i suoi 4 appartamenti.

In assemblea, il primo (che rappresenta 400 millesimi) chiede che sia le puliziedelle scale sia il giardino vengano affidati ad una ditta esterna. Il secondo (cherappresenta 600 millesimi) invece, d'accordo con i suoi inquilini, preferirebbe la gestione diretta sia delle pulizie che del giardino e quindi l'esecuzione di pulizie e giardinaggio da parte dei residenti a turno.

E' ipotizzabile una delibera che approvi la seconda soluzione, anche eventualmente escludendo il primo condomino dalla spesa?

Risposta di Antonio Romano

La questione del condominio minimo è da tempo all'attenzione della giurisprudenza per l'obiettiva difficoltà di funzionamento delle norme relative all'organizzazione di questo particolare istituto quando i condomini sono solo due.

Nel caso in questione, in effetti, sebbene le unità immobiliari siano sei, i proprietari e quindi i condomini sono solo due. La questione è stata però decisa in modo netto dalla sentenza della Corte di Cassazione Civile, pronunciata a Sezioni Unite, n. 2046/2006

La Cassazione, in tale importante e chiarificatrice decisione, ha stabilito che al condominio minimo si applica comunque la disciplina giuridica del condominio e non quella della comunione.

Secondo la Cassazione, la disposizione dell'art. 1136 Cod. Civ. (con il meccanismo della doppia maggioranza per il voto assembleare che viene espresso per “teste” e millesimi) è applicabile anche al condominio composto da due soli partecipanti: peraltro, si legge nella sentenza, se non si raggiunge l'unanimità e non si decide, poichè la maggioranza non può formarsi in concreto, diventa necessario ricorrere all'autorità giudiziaria, come previsto ai sensi del collegato disposto degli artt. 1105 e 1139 Cod. Civ..

Quindi, la circostanza per cui uno dei due condomini rappresenti un valore millesimale più alto dell'altro (nel caso in questione 600 millesimi) è in pratica irrilevante.

I due condomini devono quindi necessariamente trovare di comune accordo una soluzione da entrambi ritenuta soddisfacente.

Si può peraltro osservare che la gestione diretta di alcuni servizi è spesso suscettibile di tradursi in una trappola per i residenti, nel momento in cui per qualche ragione uno di essi non sia in grado di adempiere all'impegno, per tacere delle difficoltà operative con riferimento alla copertura delle spese per materiali o attrezzature. Ulteriori complicazioni si potrebbero poi avere nel caso in cui si verificasse un danno ai beni comuni o ai beni /alla persona di uno tra gli inquilini/condomini, come pure nel caso in cui taluno dei "volontari" si facesse male nello svolgimento dell'attività di manutenzione o pulizia.

Meglio quindi che abbiano a riflettere attentamente sulla propria determinazione al riguardo.

• Amministratore, il passaggio di consegne
Argomento: AMMINISTRATORE
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Domanda

Avrei bisogno di una precisazione in merito al passaggio di consegne tra amministratori con riferimento alle attuali leggi in vigore. L'amministratore uscente può chiedere al condominio un compenso proporzionale relativo al periodo successivo all'assemblea in cui è stato nominato il nuovo amministratore, fino al giorno della consegna della documentazione condominiale all'amministratore entrante? Può chiedere un rimborso spese per le copie della documentazione da fornire al nuovo amministratore?

Risposta di Antonio Romano

Secondo me il nuovo sistema descritto dai commi 8 e 10 dell'art 1129 Codice Civile puó essere descrito cosi:
- il regime di proroga sparisce;
- l'assemblea che decide di revocare l'amministratore nomina contestualmente un diverso professionista;
- l'amministratore uscente passa subito le consegne al nuovo amministratore nominato dall'assemblea: materialmente gli consegna la documentazione amministrativa e contrattuale del condominio senza diritto a compenso, ma con diritto al rimborso delle eventuali spese che, in effetti, non è escluso dalla normativa;
- l'amministratore uscente non puó chiedere alcun compenso per il periodo di gestione successivo alla sua revoca, per cui avrà tutto l'interesse ad abbreviare tale fase di passaggio: credo sia proprio questo il motivo per cui è stato introdotto il comma 8 dell'art 1129 Codice Civile nuova versione.

 

• Il compenso per lavori straordinari
Argomento: MANUTENZIONE STRAORDINARIA
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Domanda

Dobbiamo eseguire il rifacimento del tetto, impianto gas, acqua e messa a terra dell'impianto elettrico: una spesa notevole. Cosa prevede la legge in materia nei confronti dei condomini che per vari motivi non versano la quota millesimale? Quali azioni legali deve avviare l'amministratore? Può chiedere i soldi ai condomini non morosi? E' legale per l'amministratore chiedere una percentuale sulla spesa totale dei lavori straordinari?

Risposta di Antonio Romano

La retribuzione dell’amministratore trova fondamento giuridico nell’art. 1709 Codice Civile secondomcui il mandato si presume oneroso a carico del mandante (in questo caso il condominio): conseguentemente, poichè l’importo annuo comprende le mansioni di base elencate nell'art. 1130 Cod Civ, ulteriori incarichi (come, ad esempio, proprio la gestione di lavori straordinari) si intende, in assenza di diversi accordi, da retribuirsi a parte.
In linea di massima, quindi, la richiesta di una percentuale sui lavori straordinari può essere ritenuta legittima.
Il compenso dell'amministratore si determina con una libera contrattazione tra le parti e non esiste un tariffario ufficiale: tuttavia alcune organizzazioni rappresentative degli amministratori di condominio hanno predisposto un tariffario di riferimento che vale solo per i propri iscritti.
L'orientamento che si è affermato nel tempo è che se l'associazione a cui l'amministratore fosse eventualmente iscritto avesse predisposto un tariffario, questo si presume conosciuto ed accettato dal condominio.
Ai sensi del nuovo art. 1129 n. 14 Cod Civ, l'amministratore, a pena di nullità della sua nomina, nel momento in cui accetta l'incarico dall'assemblea deve specificare analiticamente il proprio emolumento: deve quindi precisare anche se e quanto intende pretendere per la gestione dei lavori straordinari.
Se la proposta economica dell'amministratore è accettata dal condominio in occasione della nomina o conferma nell'incarico dell'amministratore medesimo, questa è valida e vincolante per il condominio.
In caso di lavori straordinari, la legge di riforma del condominio prevede che debba obbligatoriamente essere istituito un apposito fondo speciale.
Nel caso di opere impegnative è opportuno che il contratto di appalto preveda un pagamento a stato di avanzamento lavori, possibilmente facendo in modo che ogni fase abbia una propria autonomia operativa. L'amministratore deve riscuotere i contributi facendo in modo che ogni fase sia avviata avendo sufficiente disponibilità economica: il fondo speciale deve quindi essere reso capiente secondo le scadenze previste nel contratto di appalto.
La questione della morosità dei condomini dovrebbe essere gestita senza ritardo: l'amministratore, al massimo entro 6 mesi dalla fine della gestione a cui la morosità si riferisce, deve avviare il recupero forzoso del credito del condominio. Questo significa che in precedenza deve avere già messo in mora i condomini, inviando ai debitori lettere raccomandate di diffida. Successivamente potrà incaricare un avvocato che si occuperà delle indagini necessarie per verificare quali beni del debitore aggredire (depositi bancari, crediti, beni mobili o immobili). L'avvocato chiederà al Giudice competente in base al valore del credito l'emissione di un decreto ingiuntivo ossia di un formale ordine di pagamento che darà la possibilità al condominio di procedere all'esecuzione forzata mediante il pignoramento di depositi bancari, crediti, beni del debitore.
Per l'attività di recupero del credito, anche giudiziale, l'amministratore non ha bisogno di essere espressamente autorizzato dall'assemblea.
Se impossibilitato a pagare i fornitori, l'amministratore potrà dare a questi indicazioni in merito ai condomini morosi: il fornitore insoddisfatto, dovrà infatti tentare di recuperare il dovuto dai morosi prima di tentare di aggredire i beni degli altri condomini in regola con i pagamenti.
Se vi sono motivi di urgenza, ma solo in questi casi, la giurisprudenza ammette che l'assemblea possa deliberare a maggioranza la costituzione di un fondo morosità a cui contribuiranno i condomini diligenti che quindi verranno di fatto ad essere onerati “ingiustamente”: la giurisprudenza precisa (Cassazione sentenza n. 13631/2001) che deve trattarsi di situazioni di effettiva necessità (come ad esempio quando c'è il rischio che il fornitore di energia elettrica, gas o simili sospenda la fornitura) e che nella delibera va espressamente previsto che il fondo abbia una natura provvisoria e che sia "salvo conguaglio".
• Le decisioni prese in base al millesimi
Argomento: TABELLE MILLESIMALI
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Domanda

Alcuni condomini, non avendo impugnato la decisione presa nell’assemblea per l’eliminazione del servizio di portineria, a 6 settimane di distanza e con comunicazione inviata al portiere, hanno ottenuto la convocazione di una riunione per il ripristino del servizio di portineria dichiarando la decisione dell’ultima assemblea viziata dal mancato rispetto delle maggioranze secondo un articolo del regolamento condominiale del 1962 che parla del diritto del costruttore di assumere il portiere. Nella riunione in questione si era arrivati a 616.17 ml su 734 aventi diritti al voto di cui 373,50 hanno votato per l’eliminazione del servizio e 242.65 per il mantenimento. Inoltre la convocazione per la nuova assemblea con 5 punti di cui 3 sul servizio portineria, 1 sulla nomina dei consiglieri e 1 sulla trasmissione atti via email è stata richiesta da 249.5 ml di cui 151,32 negozi che quindi non hanno niente a che fare con il servizio di portineria. E’ tutto ciò valido e possibile?
 

Risposta di Antonio Romano

Con il voto favorevole della maggioranza dei presenti in assemblea che rappresentino almeno un terzo dei millesimi (in seconda convocazione) si dispone agevolmente l'istituzione o la soppressione del servizio di portineria. In effetti, mentre i locali destinati al servizio portineria fanno parte dell'immobile e perciò il cambiamento del loro uso o la loro vendita necessita di maggioranze speciali o dell'unanimità, la creazione del servizio di portineria, se non previsto nel regolamento contrattuale, come pure la sua soppressione o la sua modifica,  non prevedono quorum particolari.
Se invece il servizio è previsto dal regolamento contrattuale, per la sua soppressione la giurisprudenza (Cass. 3708/95) ha ritenuto sufficiente, in prima e seconda convocazione, la maggioranza stabilita dall'articolo 1136, secondo comma, (voto favorevole della maggioranza degli intervenuti in assemblea che rappresentino almeno la metà del valore dell'edificio), trattandosi di una modifica di norme regolamentari per il miglior uso delle cose comuni.
Fatta questa premessa, si può osservare che, se, come sembra, il servizio portineria nel Suo caso è previsto dal regolamento predisposto dal costruttore (il regolamento cosiddetto “contrattuale”), la soppressione del servizio va deliberata con il voto favorevole dalla maggioranza dei presenti in assemblea che rappresentino almeno la metà del valore dell'edificio.
Nello specifico, non è facile comprendere perché vi siano “aventi diritto al voto” in misura minore del totale millesimale in un caso come questo: riterremmo, infatti, che gli aventi diritto al voto, trattandosi di una modifica del regolamento, siano proprio tutti i condomini in rappresentanza di 1.000 millesimi.
Occorre quindi verificare attentamente questa circostanza perché solo se fosse lo stesso regolamento contrattuale a limitare la partecipazione al servizio di portineria ad alcuni tra i condomini (nella misura da Lei indicata), si può allora ritenere che, in occasione della prima assemblea, la maggioranza millesimale sia stata effettivamente raggiunta.
Ricordi però che è sempre e comunque necessario verificare la maggioranza considerando il doppio principio di teste e millesimi ed è sempre necessario verificare il corretto quorum costitutivo dell'assemblea anche in questo caso espresso in teste e millesimi e differente tra prima e sonda convocazione: non basta considerare solo il  quorum deliberativo millesimale. Nel caso specifico, diamo per scontato che il valore millesimale maggioritario corrisponda anche alla maggioranza delle teste calcolate sui presenti in assemblea.
Su semplice richiesta dei condomini, l'amministratore può comunque ritenere opportuno convocare una nuova assemblea, che può pronunciarsi anche sullo stesso ordine del giorno di un'assemblea precedente o comunque su argomenti analoghi.
I condomini nell'incontro assembleare successivo possono “cambiare idea” e non occorre una maggioranza superiore; occorre però, naturalmente, che l'assemblea sia ritualmente convocata e che si formi la maggioranza corretta in rapporto alla decisione da assumere, in questo caso il voto favorevole della maggioranza dei condomini presenti in assemblea che rappresentino almeno la metà del valore dell'edificio.
Si può affermare, inoltre, che l'amministratore sia “tenuto” a convocare l'assemblea quando la richiesta pervenga da almeno due condomini che rappresentino almeno 1/6 dei millesimi, nel senso che, se l'amministratore non provvede alla convocazione, gli stessi condomini che ne hanno fatto richiesta, vi possono provvedere autonomamente come dispone l'art. 66 delle Disp. Att. al Cod Civ.
 
• Posto auto e proprietà private
Argomento: UTILIZZAZIONE DELLE PARTI ESCLUSIVE
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Domanda

Ho il mio posto auto cond. delimitato e con un muro di fondo. E' un garage che serve 5 palazzi in linea per tot. 160 condomini. Ho messo sul fondo in un posto che non disturba nessuno il mio piccolo kayak in plastica (nè ingombrante nè inquinante ecc.). Ai miei vicini non disturba ecc. possono obbligarmi a toglierlo minacciando sanzioni pecuniarie? E' una mia proprietà privata e non disturba. Fatemi sapere e grazie in anticipo.

Risposta di Antonio Romano

Il posto auto delimitato di proprietà privata può essere goduto liberamente dal proprietario anche per il deposito di attrezzature sportive, a condizione che non si creino situazioni di disturbo o di pericolo. Occorre comunque verificare il regolamento di condominio "contrattuale", se esiste, ossia quello allegato al rogito o da questo richiamato dove potrebbero essere validamente contenuti limiti, variamente configurati, al godimento delle parti di proprietà privata. L'assemblea invece, in ogni caso, non può regolare l'utilizzo delle porzioni immobiliari di proprietà privata, sia con riferimento alle parti residenziali, che con riferimento ai posti auto.

• L'acquisto dell'immobile durante un contenzioso già in essere
Argomento: CONTROVERSIE
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Domanda

Buon giorno. Poco meno di 13 anni fa ho acquistato un appartamento in un condominio di 18 unità abitative. Nel corso della 1a assemblea condominiale ho scoperto che il condominio aveva in essere un contenzioso con un'impresa edile che aveva effettuato un intervento di manutenzione straordinaria (la tinteggiatura dell'esterno dello stabile). La cosa ha continuato ad essere discussa in varie altre assemblee ma io non ho mai partecipato alle discussioni in quanto trattavasi di un intervento antecedente il mio subentro nella proprietà, e per il quale la parte venditrice aveva già pagato la parte di sua competenza. Il condominio ha vinto il contenzioso, ma nel frattempo il titolare dell'impresa è deceduto e i suoi eredi hanno rinunciato all'eredità. Adesso l'avvocato del condominio chiede di essere pagato per i suoi servizi e l'amministratore mi dice che io sono responsabile per la parte relativa al mio appartamento (non so ancora se la notula verrà suddivisa per millesimi o se in parti uguali). Premettendo che all'atto della compravendita la parte venditrice non aveva fatto alcuna menzione di questo contenzioso, la mia domanda è questa: a chi spetta pagare? a me o alla parte venditrice?

Risposta di Antonio Romano

Se il condominio vede riconosciute le proprie pretese in una azione legale avviata contro un terzo - come nel Suo caso - o contro uno tra i condomini, le spese legali - tra venditore e acquirente di una unità immobiliare in condominio - competono a quello tra i due che era condomino nel momento in cui il condominio ha deliberato in assemblea l'avvio dell'azione legale, perchè l'obbligo di pagare quanto fatturato dal difensore sorge nel momento del conferimento del mandato che avviene a seguito della delibera assembleare (Corte di Cassazione sentenza n. 22034/2008). Se la delibera era antecedente al momento del Suo acquisto, come sembra, il condominio chiederà a Lei validamente la copertura di tali spese, ma, a Sua volta, Lei potrà pretenderne la restituzione da chi Le ha venduto l'immobile. L'avvocato peraltro chiede validamente al proprio cliente, quindi in questo caso il condominio dove si trova l'unità immobiliare di Sua proprietà, la liquidazione delle proprie spettanze. Salvo diverse indicazioni presenti nel regolamento contrattuale di condominio, se esistente (si tratta di un documento allegato al rogito o da questo richiamato), la parcella dell'avvocato andrà ripartita tra i condomini su base millesimale e non in parti uguali, come qualsiasi altra spesa relativa a servizi resi nell'interesse del condominio (ad esempio la stessa fattura dell'amministratore). La circostanza della mancata menzione della lite in corso da parte del venditore al momento della negoziazione della compravendita potrebbe rilevare nel senso che si potrebbe affermare, pur con difficoltà, il mancato rispetto dell'art 1337 Cod Civ che impone alle parti un obbligo di correttezza e buona fede nelle trattative, con il Suo diritto al risarcimento di eventuali ulteriori danni subiti. Il tempo trascorso dalla compravendita (oltre dieci anni) rende però di fatto non percorribile tale strada.

• I consiglieri
Argomento: ASSEMBLEA
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Domanda

Può una persona che non ha alcuna proprietà nel condominio essere eletto e svolgere il ruolo di consigliere di condominio? Il regolamento di condominio prevede 3 membri per il "Comitato di Controllo" eletti dall'assemblea senza specificare espressamente se deve essere un condomino.

Risposta di Antonio Romano

La figura del consigliere di condominio è indubbiamente molto importante: anche se non ha la possibilità di assumere decisioni gestionali, il "consiglio di condominio" collabora infatti con l'amministratore svolgendo un utile ruolo di collegamento tra il professionista ed i proprietari degli immobili amministrati, anche dal 
punto di vista del controllo della "buona gestione".
La legge peró non considerava tale figura fino alla recente riforma del condominio. Il nuovo art 1130 bis Cod. Civ. prevede invece espressamente, al secondo comma, la possibilità per l'assemblea di nominare consiglieri. Con riferimento agli edifici composti da almeno dodici unità immobiliari, il Codice Civile prevede infatti che il "consiglio di condominio"sia composto da almeno tre condomini.
Condomini appunto e quindi proprietari di unità immobiliari nell'edificio in condominio.
In assenza di diverse indicazioni nel regolamento contrattuale di condominio, come nel Suo caso, dovremmo quindi ritenere, applicando la normativa vigente, che i consiglieri debbano essere scelti tra i condomini e non possa quindi essere nominato consigliere un soggetto estraneo.
• Il dissenso alle liti
Argomento: ASSEMBLEA
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Domanda

In un’assemblea l’ordine del giorno prevede l’avvio di un’azione legale nei confronti di un fornitore 
inadempiente: uno dei condomini ha manifestato il proprio dissenso e ha dichiarato quando il punto 
dell’ordine del giorno era in discussione di non intendere pagare nulla per una tale decisione a suo avviso sbagliata e che avrebbe condotto il condominio a sicura soccombenza.
Come amministratore ho invitato il segretario a verbalizzare la dichiarazione del condomino. Dovevo pretendere una raccomandata?

Risposta di Antonio Romano

La questione del dissenso alle liti prevista dall’art 1132 Cod Civ si verifica quando un condomino manifesta il proprio intento di separare la propria responsabilità in ordine alla eventuale soccombenza del condominio in una lite giudiziaria.
In effetti, non occorre necessariamente una comunicazione formale all'amministratore successiva alla delibera assembleare di avvio della lite.
Occorre però precisare che non si ritiene sufficiente un dissenso manifestato in sede assembleare nella sola fase di discussione, prima, quindi, dell'adozione della delibera, essendo tale fase ritenuta solo preparatoria a quella della deliberazione formale.
Viceversa, se la dichiarazione di dissenso viene fatta (e verbalizzata), pur in sede assembleare, in un momento successivo alla deliberazione, a quel punto è ritenuta valida e produttrice degli effetti dell'art.1132 Cod. Civ.: in questo caso meglio sarebbe se il verbale in cui è riportata la dichiarazione di dissenso fosse sottoscritto non solo dal presidente e dal segretario dell'assemblea, ma anche dal condomino interessato ed è indispensabile la (pur scontata) presenza dell'amministratore.
• Diritto dei condomini alla visualizzazione degli estratti conto
Argomento: BILANCIO CONDOMINIALE
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Domanda
 
Un condomino insiste per controllare gli estratti conto del conto corrente condominiale: come amministratore posso consentirgli di visionarli ed eventualmente consegnarliene copia?

Risposta di Antonio Romano

Il diritto dei condomini di accedere a tale documentazione è espressamente riconosciuto senza eccezioni dal comma 7 del nuovo art. 1129 Cod Civ: sulla base della nuova norma, tutti i proprietari hanno diritto di avere dall’amministratore copia degli estratti conto bancari del conto corrente che l’amministratore è tenuto ad aprire intestandolo al condominio. Già prima della riforma, la Magistratura era del resto arrivata ad affermare che la delibera assembleare di approvazione del bilancio deve essere ritenuta annullabile se l’amministratore non collabora, garantendo ai condomini l’accesso alla documentazione condominiale: così infatti si era espressa esplicitamente la Corte di Cassazione con la sentenza n. 12650/2008.
• Manutenzioni straordinarie ma costose
Argomento: MANUTENZIONE STRAORDINARIA
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Domanda

Vorrei sottoporre un problema che si è riscontrato nel mio condominio. L'ascensore necessita di una manutenzione straordinaria che comprende la sostituzione dei cavi, del motore e del basamento del motore: il tutto per una spesa di circa 19 mila Euro. Alcuni condomini proprietari si rifiutano di pagare tale spesa in quanto sostengono di non avere soldi per affrontarla. Tenendo presente che l'ascensore è fermo da ormai più di un anno, vorrei sapere se c'è qualche rimedio per cercare di risolvere la situazione. L'amministratore dal canto suo sostiene che fino a che non raggiungiamo la quota non possiamo partire con i lavori. Bisogna considerare che a causa di diversi condomini che non pagano le spese condominiali ci ritroviamo con diverse migliaia di Euro di debiti che noi paganti stiamo piano piano cercando di coprire.
 
Risposta di Antonio Romano
 
Teoricamente, i condòmini non possono sottrarsi al pagamento di tutte le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni, almeno nella misura in cui le opere sono state approvate dall'assemblea con le necessarie maggioranze (nel caso della gravosa manutenzione straordinaria dell'ascensore, si richiede il voto favorevole della maggioranza dei condomini presenti in assemblea che rappresentino almeno 500 millesimi).
Sempre teoricamente, qualora alcuni condomini si rifiutino di pagare, a norma dell'articolo 63 primo comma delle Disposizioni di Attuazione al Codice Civile, l'amministratore può ottenere dal Giudice competente un decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo.
Quindi, se la maggioranza approva l'esecuzione dei lavori, ma vi sono condomini che non versano le rate previste nella misura ed alla scadenza concordata in assemblea, l'amministratore dovrebbe avviare le iniziative giudiziarie di recupero del credito vantato dal condominio.
Questa è la teoria, perchè le iniziative di recupero del credito sono comunque lunghe, onerose e dall'esito incerto in termini di soddisfazione economica.Inoltre è anche estremamente probabile che l'assemblea non approvi lavori la cui copertura finanziaria appare incerta, per il timore dei condomini "diligenti" di doversi fare carico dei debiti contratti verso il fornitore, con il risultato che l'impianto ascensore, in questo caso, resta fermo a tempo indeterminato.
D'altra parte, per effetto dell'introduzione della riforma del condominio, pur con tutte le difficoltà interpretative che sono emerse dalla sua entrata in vigore, l'amministratore non dovrebbe dare corso ad opere di manutenzione straordinaria senza che sia stato costituito un apposito fondo, in cui siano presenti risorse almeno corrispondenti alla fase di avvio dei lavori.
Una soluzione potrebbe quindi consistere nell'approvazione dell'impegno di spesa in assemblea e nell'approvazione di un piano di finanziamento del fondo apposito, ossia nell'approvazione di uno schema di pagamenti "sostenibile" per i condòmini a cui dovrebbe corrispondere un contratto organizzato per stati di avanzamento lavori che abbiano rilevanza autonoma. Al completamento di ogni parte dell'opera segue il pagamento all'impresa appaltatrice.
Ad esempio, dati 10.000 Euro di lavori, di cui 2.000 per sostituzione funi, 2.000 per adeguamento dell'impianto elettrico, 4.000 per la sostituzione dell'argano, 1.000 per l'adeguamento della cabina, 1.000 per i collaudi ed altre incombenze amministrative, potrebbe essere concordato il versamento per la sostituzione dell'argano a cui potrebbe fare seguito il versamento per la sostituzione delle funi e così via. 
Ricevuti i versamenti, le opere possono essere autorizzate ed eseguite in modo che, sebbene nell'arco di un periodo discretamente lungo, i lavori siano completati, l'impianto rimesso in funzione essendo stato adeguato alle norme di legge e d'altra parte non resti inutilmente aperto il cantiere con gli oneri ed i rischi relativi.
• Debiti condominiali: l’assemblea può deliberare una transazione
Argomento: CONTROVERSIE
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Domanda

Sono amministratore in un condominio che, previa delibera assembleare, ha appaltato alcuni lavori edili di manutenzione straordinaria ad un’impresa. Alla fine dei lavori i condomini si sono lamentati sostenendo che alcune opere non erano state eseguite a regola d’arte ed in altri casi non erano state eseguite le finiture richieste. Si sono quindi rifiutati di pagare il saldo dei lavori, sollecitandomi a contestare le carenze all’impresa appaltatrice: ho provveduto ad inviare una raccomandata, ma l’impresa edile sostiene di aver eseguito tutte le opere come descritto nel contratto e pretende il saldo del dovuto, minacciando un’azione legale. I consiglieri vorrebbero una transazione, ma vista l’impossibilità di raggiungere l’unanimità, basta l’approvazione a maggioranza in assemblea?
 
Risposta di Antonio Romano
 
La transazione è decritta nel Codice Civile come “il contratto col quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine a una lite già incominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro” (art. 1965 Cod. Civ.).
Nel caso in questione si può pensare che una perizia tecnica possa chiarire se effettivamente i lavori siano stati eseguiti a regola d’arte e/o nel rispetto del contratto.
Tuttavia le incognite possono essere dietro l’angolo: non sempre i contratti dettagliano adeguatamente i lavori concordati, la valutazione del perito può essere contestata da altra perizia, in ogni caso l’attività peritale non è gratuita e comunque, se la propria controparte agisce in giudizio per recuperare il credito, occorre anche mettere in conto le spese per la difesa legale.
Tante volte quindi una transazione può essere una buona soluzione, anche se, inevitabilmente, importa un certo sacrificio economico per entrambe le parti.
Nell'ambito del condominio negli edifici la transazione avente ad oggetto debiti condominiali può essere deliberata dall'assemblea: così ha deciso la Corte di Cassazione con la sentenza n. 821 del 16.01.14.
Nella sentenza si legge che “poiché è riconosciuto all'assemblea condominiale il potere di deliberare su tutte le spese di comune interesse e quindi anche di concludere i relativi contratti con i terzi, parimenti si deve riconoscere il correlativo potere di iniziare e transigere eventuali controversie che da tali contratti dovessero sorgere, impegnando anche in questo caso tutti i condomini, anche i dissenzienti”.
La sentenza ha considerato anche il caso in cui uno dei condomini avesse manifestato il proprio dissenso all’avvio di una lite verso l’impresa.
In effetti, secondo la sentenza in questione, il condomino, ancorché dissenziente rispetto ad una lite, ai sensi dell'art. 1132 Cod. Civ., deve rispettare la deliberazione con la quale si decide la transazione poiché la transazione non è un atto con cui si avvia una lite giudiziaria, ma un contratto con il quale si decide di evitarla. Considerando che le decisioni assembleari sono obbligatorie per tutti, come dispone l’art. 1137 Cod Civ., anche chi non le condivide non può sottrarsi alla loro efficacia.
• Morosità pregressa e acquisto immobile
Argomento: CONTROVERSIE
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Domanda

Buongiorno, il quesito che volevo porre è il seguente: Ho acquistato nel 2012 un appartamento in condominio e ora mi viene richiesta dall'amministratore una quota per "fondo cassa morosità" riguardante una causa per morosità antecedente la data d'acquisto del mio appartamento ma tuttora in corso (quel condomino non paga da anni e continua a non pagare). Devo pagare? Perché qualcuno mi ha detto che non mi spetta visto che quando è stata intentata detta causa io non ero ancora proprietaria.

Risposta di Antonio Romano

L'assemblea con decisione assunta a maggioranza può effettivamente deliberare l'istituzione (e la sua successiva integrazione) di un fondo cassa straordinario per far fronte a pagamenti dovuti in caso di morosità di condomini. Secondo la Corte di Cassazione è infatti consentita all'assemblea la costituzione di un fondo di questo tipo anche se solo in caso di reale emergenza e a patto che si preveda il rimborso delle somme con il recupero dei debiti del moroso. Non è ammessa, invece, la costituzione di un fondo cassa per far fronte alle rate non pagate senza avviare le procedure di recupero delle morosità. "In ipotesi d'effettiva improrogabile urgenza..., può ritenersi consentita una deliberazione assembleare con la quale, similmente a quanto avviene in un rapporto di mutuo, si tenda a sopperire all'inadempimento del condomino moroso con la costituzione d'un fondo cassa ad hoc tendente ad evitare danni ben più gravi nei confronti dei condomini tutti. Vengono costituiti così l'obbligazione di ciascun condomino di corrispondere la quota di sua pertinenza, come l'obbligazione del condominio di restituire le somme a tal titolo percette una volta identificati i condomini originariamente morosi e recuperato nei loro confronti quanto dagli stessi dovuto per le quote insolute e per i maggiori oneri" (Corte di Cassazione sentenza n. 13631/2001). Quindi, la richiesta dell'amministratore nel Suo caso, se coerente con quanto approvato in assemblea, può essere legittima. Per quanto riguarda invece le spese legali che il condominio ha sostenuto e sosterrà per il recupero delle somme dovute dal condomino moroso, occorre fare una distinzione:
- se il condominio dovesse essere soccombente nella causa intentata contro il condomino moroso (ad esempio perchè il condomino riesce a dimostrare che la pretesa del condominio non era corretta), quanto eventualmente dovuto al condomino vittorioso (in linea di massima si tratterà delle spese sostenute per la propria difesa) sarebbe a carico del condomino che ha acquistato l'unità immobiliare in condominio al momento della conclusione della vicenda giudiziaria attualmente in corso, quindi, in questo caso, Lei stessa;
- se il condominio invece vede riconosciute le proprie pretese, le spese legali - tra venditore e acquirente di una unità immobiliare in condominio - competono a quello tra i due che era condomino nel momento in cui il condominio ha deliberato in assemblea l'avvio dell'azione legale nei confronti del moroso, perchè l'obbligo di pagare quanto fatturato dal difensore sorge nel momento del conferimento del mandato che avviene a seguito della delibera assembleare (Corte di Cassazione sentenza n. 22034/2008). Se la delibera era antecendente al 2012, il condominio chiederà a Lei validamente la copertura di tali spese, ma, a Sua volta, Lei potrà pretenderne la restituzione da chi Le ha venduto l'immobile;
- potrebbe darsi che l'amministratore abbia avviato l'azione legale nei confronti del condomino moroso autonomamente, quindi senza approvazione dell'assemblea. Questo è possibile perchè il recupero del credito del condominio rientra tra i suoi compiti specifici. In questo caso il riferimento è alla esecuzione del mandato da parte dell'avvocato. Quindi, nel Suo caso, le attività di tutela legale svolte dopo l'acquisto dell'immobile da parte Sua, saranno di Sua competenza, quelle precedenti saranno di competenza di chi Le ha venduto l'immobile (Corte di Cassazione sentenza n. 24654/2010).

 

• L’amministratore e l’appropriazione indebita
Argomento: AMMINISTRATORE
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Domanda

Sono uno dei numerosi condomini a cui l'ex amministratore ha sottratto tutti i fondi senza effettuare i pagamenti dovuti ai fornitori che ora chiedono i soldi per i servizi per i quali noi tutti abbiamo già versato le rispettive quote. Cosa sarebbe possibile fare?

Risposta di Antonio Romano

L’amministratore che si comporta in questo modo commette un reato. Si tratta infatti di appropriazione indebita, sanzionato dall’art. 646 Cod Pen.
L’appropriazione indebita è un delitto contro il patrimonio che consiste nella condotta di chi si appropria del denaro altrui, di cui abbia il possesso, al fine di procurare a se o ad altri un profitto ingiusto.
Il reato è sanzionato con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino ad Euro 1.032,00.
Sono previste inoltre delle ipotesi aggravanti che determinano un aumento della pena fino ad un terzo: si tratta di ipotesi che riguardano da vicino il comportamento scorretto dell’amministratore di condominio. La prima ipotesi aggravante (art. 61 n. 7 Cod Pen) consiste infatti nell’aver cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di rilevante entità (Trib Roma sentenza del 04.06.04 n. 12910), mentre la 
seconda ipotesi aggravante (art 61 n. 11 Cod Pen) concerne un fatto di appropriazione indebita commesso con abuso di prestazione d’opera (Cass. Pen. sentenza n. 3462/05).
Vi sono peraltro delle attenuanti da considerare: l’amministratore (art 62 n. 6 Cod Pen) ne può beneficiare se, prima del giudizio, ha risarcito interamente il danno e se si è spontaneamente ed efficacemente adoperato per attenuare le conseguenze dannose del reato.
L’appropriazione indebita è perseguibile a querela di parte nella forma semplice e d’ufficio nella forma 
aggravata di cui all’art. 61 n. 11 (appropriazione indebita commesso con abuso di prestazione d’opera).
Per esso è previsto l’arresto facoltativo in flagranza e la comminatoria di misure coercitive (ad esempio 
arresti domiciliari).
Che fare quindi?
Il condominio può presentare denuncia – querela nei confronti dell’amministratore scorretto.
La querela va presentata all'Autorità Giudiziaria (al Pubblico Ministero, alla polizia giudiziaria), in forma scritta od orale. La querela va sporta entro il termine perentorio di 3 mesi dal momento della venuta a conoscenza del reato. Successivamente, si apre la fase per le indagini preliminari che conduce alla 
determinazione sull'esercizio dell'azione penale. A conclusione delle indagini preliminari, il Pubblico 
Ministero, qualora emergano elementi per procedere, formula la richiesta di rinvio a giudizio.
A conclusione del giudizio, in caso di condanna, il Giudice può subordinare la sospensione della pena alla completa restituzione di quanto indebitamente trattenuto.
Il Giudice può inoltre disporre il sequestro conservativo dei beni personali dell’amministratore se riesce ad identificarli: in pratica si potrà disporre di questi beni se l’amministratore rimarrà insolvente nei confronti dei condomini danneggiati.
Per quanto riguarda le restituzioni delle somme di cui l’amministratore si è appropriato, il Giudice penale dispone al riguardo, ma per quanto riguarda il risarcimento del maggiore danno (anche non materiale), come pure per quanto riguarda la consegna di documenti (ad esempio i documenti contabili) è necessario che il condominio si costituisca parte civile nel procedimento penale. Per questo l’assistenza di un avvocato è indispensabile.
Purtroppo, non vi sono salvaguardie nei confronti dei fornitori i quali possono effettivamente pretendere che il condominio saldi i propri debiti, procedendo in caso contrario ad ottenere un decreto di ingiunzione nei confronti del condominio e quindi all’esecuzione mediante il pignoramento di beni o crediti dei singoli condomini.
Il nuovo amministratore, provvederà a trattare con i fornitori un rientro del debito per quanto possibile 
graduale, ma occorre che i fornitori siano disponibili ad un negoziato.
• Responsabilità dell'amministratore sui condomini morosi
Argomento: AMMINISTRATORE
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Domanda
 
Nel condominio che amministro sono ormai numerosi i condomini che non sono in regola con il pagamento delle rate delle spese condominiali: l’amministratore ha delle responsabilità?

Risposta di Antonio Romano

L’amministratore, effettivamente, deve attivarsi senza ritardo per recuperare il credito del condominio: l’art 1130 Cod Civ indica infatti espressamente tra i compiti dell’amministratore proprio la riscossione dei contributi condominiali; anzi, il nuovo art 1129 comma 9 Cod Civ impone all’amministratore di avviare azioni legali nei confronti dei condomini morosi entro 6 mesi dalla scadenza della gestione a cui il credito del condominio si riferisce.
Inoltre, l’articolo 63 delle Disp Att al Cod Civ prevede che l'amministratore possa ottenere dal Giudice un decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo.
L’amministratore ha quindi il potere ed il dovere, senza alcuna necessità di autorizzazione assembleare, di agire in giudizio contro i condomini morosi.Se vi sono le condizioni, come potrebbe essere il caso di un condomino buon pagatore in una situazione di temporanea difficoltà, l'amministratore può “gestire” il credito, inviando comunque senza ritardo raccomandate di messa in mora e valutando con maggiore cautela, eventualmente convocando una apposita assemblea, l’avvio di azioni legali.
L'art 1129 comma 9 Cod Civ prevede infatti che l'assemblea possa esonerare l'amministratore dall'avvio di azioni legali di recupero del credito del condominio nei confronti dei morosi: si tratta però di situazioni da valutare con cautela, rappresentando una deroga residuale al principio della prevalenza dell'interesse del condominio alla continuità dell'operatività gestionale.
Se l’amministratore non ha provveduto come sopra può effettivamente essere esposto ad azioni legali di risarcimento del danno che il condominio potrebbe avviare nei suoi confronti.L’amministratore può comunque sottoporre all’assemblea, che decide a maggioranza, la costituzione di un
fondo a copertura della morosità: si tratta di un rimedio necessariamente solo temporaneo che non esclude, anzi prevede, ulteriori iniziative di tutela.
In ultimo, può essere considerata, ove tecnicamente possibile, la possibilità di sospendere il godimento dei beni comuni al condomino moroso se questi non paga gli oneri condominiali per più di sei mesi.
• Fondo speciale per condomini morosi
Argomento: BILANCIO CONDOMINIALE
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Domanda

In un condominio dove vi sono condomini morosi, l'assemblea ha votato ed approvato a maggioranza (non all'unanimità) la costituzione di un fondo speciale provvisorio per far fronte al debito dei morosi. Alcuni condomini dissenzienti, rifiutano di aderire a questa iniziativa, rifacendosi alla sentenza della Cassazione n. 9148 del 08.04.2008, che sancisce la parziarietà del debito dei condomini.
L'assemblea, con voto a maggioranza ha oppure non ha il potere di ripartire tra tutti i condomini non morosi il debito relativo alle quote dei condomini morosi?
I dissenzienti possono quindi continuare a non aderire a tale decisione, come da sentenza di cui sopra, oppure sono obbligati a subire la delibera?

Risposta di Antonio Romano

La gestione della morosità dei condomini è uno degli argomenti più controversi in ambito condominiale.
La sentenza emessa dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 9148/2008, citata nella domanda, ha effettivamente stabilito che non sussiste il vincolo della solidarietà passiva tra i condomini in relazione ai debiti del condominio, limitandosi la responsabilità di ciascuno alla propria quota millesimale, anche se qualche Tribunale ha poi pronunciato decisioni in contrasto con il principio di diritto fissato nella sentenza di cui sopra.
La legge di riforma del condominio ha normato al riguardo, in maniera però non particolarmente chiara: non ha risolto infatti il punto più importante della questione e cioè se i condomini rispondono solidalmente o meno per i debiti contratti dal condominio e si è limitata a prevedere che il fornitore insoddisfatto debba prima tentare l’esecuzione della sentenza o del decreto di ingiunzione ottenuto nei confronti del condominio, aggredendo il patrimonio dei condomini morosi e solo successivamente possa rivolgersi agli altri.
In assenza di giurisprudenza, molti esperti hanno ritenuto che si debba intendere nuovamente affermato il principio della solidarietà dei condomini con la sola attenuazione collegata alla necessaria prima aggressione del patrimonio dei morosi.
La riforma non cita espressamente la possibilità per l'amministratore di proporre la costituzione di un “fondo morosi”, in cui gli altri condòmini versino somme a copertura dei debiti altrui. La giurisprudenza consolidata è però chiara nell’affermare che il fondo in questione possa essere solo "straordinario" e debba quindi avere la durata della procedura per il recupero dei crediti.Per quest'ultima la legge di riforma ha stabilito che l'amministratore sia tenuto ad agire, per la riscossione forzosa delle somme dovute, entro sei mesi dalla chiusura dell'esercizio (nuovo articolo 1129 comma 9 Cod Civ). 
La giurisprudenza, formatasi in materia prima della riforma, ha peraltro ritenuto legittima la delibera di costituzione del “fondo morosità” approvata con il voto della sola maggioranza, nei casi di effettiva e dimostrabile urgenza ovvero nel caso in cui i creditori del condominio abbiano esercitato l’azione esecutiva in danno del condominio (Cass. Civ. sentenza n. 13631/2001) come pure nel frequente caso in cui i creditori (come è tipico nei contratti di fornitura di energia, elettrica, gas, acqua ecc.) abbiano minacciato la sospensione del servizio.
La delibera assunta a maggioranza con cui si è disposta la creazione di un “fondo morosità” è da ritenersi quindi a queste condizioni legittima.I dissenzienti, non possono comunque sottrarsi semplicemente alla contribuzione nel fondo, ma, al più, dovrebbero tentare di far valere le proprie perplessità impugnando la delibera assembleare nei termini di cui all’art. 1137 Cod Civ e quindi entro 30 giorni dalla data della delibera medesima, avviando una vera e propria azione legale preceduta dal tentativo obbligatorio di mediazione che si svolgerà presso un ente di mediazione accreditato con la necessaria assistenza di un avvocato.
 

 

• Tutto o quasi sulla ripartizione delle spese di sistemazione di un lastrico solare
Argomento: LASTRICO SOLARE
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Domanda

Sono amministratore di condominio e devo sottoporre all’assemblea la delibera per la sistemazione di un lastrico solare. Mi chiedevo se le spese per il rifacimento di un lastrico solare posto al primo piano, che copre il solo piano sottostante (piano terreno), si dividono in base al criterio 1/3 - 2/3 o piuttosto al 50%.
 
Risposta di Antonio Romano
 
Il lastrico solare è una superficie piana orizzontale posta alla sommità di un edificio o di uno dei suoi corpi di fabbrica. La sua funzione caratteristica è quella di copertura ed ha la particolarità di essere calpestabile.
In linea di massima, il lastrico solare - contenuto nell'elenco delle parti comuni di cui all'art 1117 Cod Civ - è assoggettato al regime giuridico del tetto e la ripartizione delle spese di manutenzione segue il criterio dell'art 1123 Cod Civ (tabella millesimale di proprietà senza correttivi), fatto salvo il caso in cui siano riconoscibili corpi di fabbrica distinti a cui il lastrico solare serve da copertura, con esclusione delle altre porzioni immobiliari: in questo caso è applicabile il comma 3 del medesimo art 1123 Cod Civ (proprietà separata e conseguente ripartizione delle spese solo a carico del gruppo di condomini che ne trae obiettiva utilità, sempre su base millesimale - in questo caso ridotta - senza correttivi).
L'art 1126 Cod Civ disciplina il caso particolare in cui il lastrico solare sia "di uso esclusivo": la natura 
giuridica del diritto d'uso è irrilevante, ma quello che conta ai fini dell'applicabilità dello speciale criterio di ripartizione di cui all'art. 1126 Cod Civ (1/3 a carico di chi ne ha l'uso esclusivo, 2/3 a carico dei condomini che ne sono coperti) è che uno o più condomini lo possano utilizzare ad esclusione degli altri.
Se quindi questa è la situazione, si applica l'art 1126 Cod Civ e quindi il criterio “1/3, 2/3”.
La complicazione, in questo caso, si ha quando l'unità o le unità che si trovano nella colonna d'aria 
sottostante il lastrico solare non sono interamente coperte dal medesimo, ma se ne giovano solo in parte. 
Secondo una interpretazione, l'art 1126 Cod Civ, quando fa riferimento alla "porzione di piano", non si riferisce ad una parte della proprietà, ma all'intera unità immobiliare: se il lastrico solare copre una sola parte di una unità immobiliare questa, quindi, parteciperebbe con tutti i suoi millesimi alla ripartizione dei 2/3 della spesa. (Trib BO sentenza n. 3343 del 27.11.01).
Recentemente, però, la Cassazione ha fissato un principio diverso.
La sentenza della Corte di Cassazione n. 1451 del 23.01.14 ha infatti ritenuto che si deve considerare non il valore millesimale dell'intero appartamento, ma solo quello della porzione coperta dal lastrico solare, per cui i suoi millesimi vanno proporzionati alla porzione effettivamente coperta.
Nel caso in cui una struttura condominiale faccia da copertura ad un solo piano, occorre valutare la 
funzione della struttura di copertura.
Nel caso di un cortile che copre un piano interrato le spese vanno suddivise secondo l'art 1125 Cod Civ: infatti, secondo la Cassazione (sentenza n. 18194 del 14.09.05), in questo caso si deve considerare che la funzione principale del cortile non è quella di copertura bensì di consentire l'accesso alle parti comuni del fabbricato.
La ripartizione corretta, in questo caso, addebita al condominio la spesa per pavimentazione ed 
impermeabilizzazione, mentre è a carico dei condomini sottostanti la spesa per l'intonaco ed il rivestimento del soffitto; gli interventi sulla struttura di sostegno - "solaio" o "soletta" - sono da ripartirsi al 50% tra gli uni e gli altri (così anche Cass. 10858/2010 e Cass. 15841/2011).
Se la struttura in questione fosse di proprietà privata con esclusione dei condomini dall'accesso alla medesima (come accade nel caso in cui un condomino ha la proprietà esclusiva di una porzione di cortile), il principio non cambia, ma solo il condomino proprietario è addebitato delle spese che riguardano la sua porzione di cortile, secondo lo schema di cui sopra.
Nel caso, invece, in cui il lastrico solare copre una porzione del fabbricato nel suo sviluppo verticale, come accade quando, ad esempio, vi sono negozi al primo piano e l'immobile si sviluppa arretrato rispetto alla struttura dei medesimi, allora, se la copertura svolge la funzione di terrazza a livello di proprietà o di lastrico solare di uso esclusivo a beneficio delle unità immobiliari che vi si affacciano, si applica l'art 1126 Cod Civ, perchè si considera prevalente la funzione di copertura svolta dalla terrazza/lastrico solare.
Un ultimo problema: cosa succede se il lastrico solare copre una parte comune (ad esempio androne o tromba delle scale): non vi sono posizioni univoche in questo caso, ma si ritiene che dei 2/3 della spesa debba essere estrapolata la quota da attribuire al condominio in base ad una proporzione metrica, per il principio di cui alla sentenza della Cassazione n. 1451/2014 sopra citata.
Si applica l'art 1126 Cod Civ anche nel caso di condominio "minimo", cioè anche nel caso in cui i condomini fossero solo due (cfr sentenza Cass 11029/2003 che riguarda proprio specificamente l'applicazione dell'art. 1126 Cod Civ alla situazione in cui ad essere coperta dal lastrico solare ad uso esclusivo è una sola unità immobiliare).
In linea generale, l'applicazione della normativa condominiale al condominio minimo è ampiamente 
ammessa in giurisprudenza: tra le varie vedi Cass SSUU 2046/2006 e dal punto di vista fiscale (condominio sostituto di imposta) vedi la risoluzione 45/E dell'Agenzia delle Entrate del 14.02.08.
• Zanzariere personali: regolamentazione
Argomento: DECORO ARCHITETTONICO
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Domanda
 
Nel condominio che amministro un condomino vorrebbe installare delle zanzariere sui propri serramenti. Alcuni condomini sostengono che non è possibile. In particolare taluno sostiene che non è fattibile se le zanzariere sono poste sulla facciata del condominio verso strada e se sono visibili dall'esterno del caseggiato, mentre sarebbe possibile verso corte. Voi cosa ne pensate?

Risposta di Antonio Romano

Il divieto di innovazioni che pregiudicano il decoro architettonico dell’edificio si riferisce a quelle opere che alterano l’aspetto originario di singoli elementi dell’edificio. Tuttavia, la tutela del decoro architettonico è disciplinata in considerazione dell'apprezzabile alterazione delle strutture fondamentali dell’edificio (o anche di sue singole parti) e della conseguente diminuzione del valore dell’intero edificio e, quindi, anche di ciascuna delle unità immobiliari che lo compongono.
Ciò significa che, caso per caso, ove vi sia controversia tra i condomini, il giudice, adotterà criteri di maggiore o minore severità in considerazione delle caratteristiche del singolo edificio e riconoscerà il pregiudizio estetico solo quando il danno sia di apprezzabile valore economico.
L’installazione delle zanzariere è in linea di massima da ritenersi perciò consentita, salvo divieti previsti dal regolamento condominiale e salvo che ne derivi un sensibile deprezzamento dell’intero fabbricato, circostanza che però dovrebbe essere provata.
In queste situazioni, occorre verificare la presenza di norme nel regolamento di condominio.
In presenza di norme regolamentari condominiali, si consideri la sentenza Cass. Civ. n. 8883/2005 che dispone che, in materia di condominio di edifici, le norme del regolamento di natura contrattuale possono prevedere limitazioni ai diritti dei condomini, nell'interesse comune, sia relativamente alle parti comuni, sia riguardo alle parti di loro esclusiva proprietà.
E' stato inoltre ritenuto dalla Corte che l'amministratore di condominio sia legittimato a far valere in giudizio le norme del regolamento condominiale, anche se si tratta di clausole che disciplinano l'uso delle parti del fabbricato di proprietà esclusiva, allorché siano rivolte a tutelare l'interesse generale al decoro, alla tranquillità ed alla abitabilità dell'intero edificio.
Riguardo al regolamento assembleare, è stato affermato nella medesima sentenza che esso può ben contenere norme intese a tutelare il decoro architettonico dell'edificio condominiale e che, a tal fine, sono suscettibili di incidere anche sulla sfera del dominio personale esclusivo dei singoli partecipanti. Per tale ragione anche il regolamento condominiale assembleare può vietare interventi modificatori delle porzioni di proprietà individuale che, riflettendosi su strutture comuni,siano passibili di comportare pregiudizio per il decoro anzidetto.
Si consideri che il divieto di innovazioni pregiudizievoli del decoro architettonico dell'edificio si riferisce anche a quelle opere che alterino l'originario aspetto dei singoli elementi o dei singoli punti dell'edificio, indipendentemente dal suo pregio artistico (così Trib. Milano sentenza del 15 ottobre 2013 n. 12784).
In pratica, mentre il regolamento assembleare può limitarsi a tutelare il decoro architettonico dell'edificio (e quindi non vietare la possibilità di posizionare una zanzariera), il regolamento contrattuale può negare all'origine il diritto del singolo condomino sulle cose comuni e su quelle di proprietà esclusiva, a prescindere da considerazioni sull'effettività della lesione del decoro architettonico dell'edificio, considerazioni che sono invece indispensabili negli altri casi, sia in presenza solo di un regolamento assembleare che in assenza di norme regolamentari.
• Installazione di agevolazioni per l'accesso al condominio per le persone con disabilità
Argomento: PROFILI FISCALI
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Domanda
 
Un condomino disabile ha chiesto di installare uno scivolo per l’accesso al condominio: con quale maggioranza l’assemblea delibera?

Risposta di Antonio Romano

La legge di riforma del condominio è recentemente intervenuta ad introdurre un nuovo assetto delle maggioranze: opere di questo tipo si approvano infatti oggi con il voto favorevole della maggioranza dei condomini presenti in assemblea che rappresentino almeno 500/1000, ai sensi del nuovo art 1120 Cod Civ e del nuovo art 2 della L 13/1989.
La normativa non impone, d’altra parte, l’esecuzione di opere di abbattimento delle barriere architettoniche in edifici esistenti.
Il comma 2 dell’art. 2 della medesima L 13/1989 dispone inoltre che nel caso in cui il condominio rifiuti di assumere o non assuma entro tre mesi dalla richiesta fatta per iscritto, le deliberazioni assembleari rivolte all’esecuzione di opere di abbattimento delle barriere architettoniche, i portatori di handicap, possono installare, a proprie spese, servoscala nonché strutture mobili e facilmente rimovibili e possono anche modificare l'ampiezza delle porte d'accesso, al fine di rendere più agevole l'accesso agli edifici, agli ascensori e alle rampe dei garages.
• Installazione di nuove antenne
Argomento: ANTENNA
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Domanda
 
Un condomino è intenzionato ad installare sul tetto una nuova antenna a sue spese ed il regolamento di condominio non contiene alcuna indicazione al riguardo: lo può fare?

Risposta di Antonio Romano

Un condomino può installare un manufatto di questo tipo sul tetto comune a proprie spese se il regolamento di condominio non lo vieta, se non danneggia né il tetto né gli impianti esistenti, né altera il decoro architettonico del fabbricato.
Anzi il nuovo art 1122 bis del Codice Civile lo consente espressamente.
Se però è necessario effettuare modifiche sul tetto o su altre parti comuni, il condomino interessato deve informare l'amministratore, non genericamente, ma dettagliando le opere che intende eseguire e l'assemblea può imporre modalità alternative di esecuzione delle opere di suo interesse oppure condizioni per tutelare stabilità, sicurezza o decoro architettonico dell'edificio.
Se un condomino fosse interessato ad installare pannelli solari per il proprio esclusivo vantaggio, l'assemblea può ripartire l'uso del lastrico solare tra gli interessati e chiedere garanzie per i danni che potrebbero verificarsi sia durante lo svolgimento delle opere che successivamente.
 
• Registro anagrafe condominiale
Argomento: AMMINISTRATORE
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Domanda

Ho chiesto la copia del Registro di anagrafe condominiale, senza eventuali allegati, l'Amministratore ha così risposto: "per quanto concerne la restante documentazione richiesta corre l'obbligo, segnatamente al registro di anagrafe condominiale, di far presente che non è dato rintracciare un esplicito obbligo di legge per la consegna del registro di anagrafe condominiale da parte dell'amministratore e che non sembri costituire grave irregolarità ai sensi dell'art.1129, secondo comma, c.c. la mancata consegna dello stesso". Mi chiedo e chiedo, come sarebbe possibile utilizzare l'art. 66 delle disposizioni per l'attuazione del codice civile e disposizioni transitorie, senza conoscere i dati della compagine condominiale? Inoltre, come sarebbe possibile conoscere ogni dato relativo alle condizioni di sicurezza delle parti comuni dell'edificio (art. 1130, punto 6, c.c.)?

Risposta di Antonio Romano

"Uno degli elementi caratterizzanti della riforma del condominio è l'introduzione di una serie di regole volte a garantire la massima trasparenza nell'amministrazione. Tra queste vi è l'articolo 1129 comma 2 Cod. Civ. che dispone come segue: "Contestualmente all'accettazione della nomina e ad ogni rinnovo dell'incarico, l'amministratore comunica i propri dati anagrafici e professionali, il codice fiscale, o, se si tratta di società, anche la sede legale e la denominazione, il locale ove si trovano i registri di cui ai numeri 6) e 7) dell'articolo 1130, nonché i giorni e le ore in cui ogni interessato, previa richiesta all'amministratore, può prenderne gratuitamente visione e ottenere, previo rimborso della spesa, copia da lui firmata."
I registri a cui fa riferimento l'art. 1129 Cod. Civ. appena citato sono proprio il registro di anagrafe condominiale, considerato nel numero 6 dell'art. 1130 Cod. Civ., i registri di nomina e revoca dell'amministratore, il registro dei verbali dell'assemblea e il registro di contabilità, considerati dal successivo numero 7 dell'art. 1130 Cod. Civ.
Non sembra quindi dubbio che i condomini abbiano accesso senza formalità a tutti i registri condominiali.
Nè, d'altra parte, possono essere sollevate difficoltà in ordine all'applicazione della normativa sulla privacy, in quanto l'Autorità Garante per la Protezione dei Dati personali ha considerato che tutti i condomini sono titolari di un unico trattamento dati e quindi hanno il diritto a conoscere le informazioni sull'amministrazione e sul funzionamento del condominio. (Garante privacy provvedimento del 19.05.00 doc. web n. 42268).
L'amministratore potrà trattare naturalmente soltanto le informazioni personali pertinenti e non eccedenti le finalità di gestione e amministrazione delle parti comuni.
Il registro di anagrafe condominiale potrà dunque contenere soltanto i dati previsti dalla legge, che sono in effetti quelli strettamente necessari per la corretta amministrazione dei beni comuni, mentre non possono essere trattati i dati che non siano correlati ad attivitá di gestione e amministrazione delle parti comuni o che non siano strettamente collegati alle quote dovute dai condomini.
Questo principio è espresso canche nel nuovo "Vademecum del palazzo" elaborato dall'Autorità Garante per la protezione dei dati personali, in cui si afferma esplicitamente che l'amministratore può acquisire le informazioni che consentono di identificare e contattare i singoli partecipanti al condominio - siano essi proprietari, usufruttuari, conduttori o comodatari - chiedendo le generalità comprensive di codice fiscale, residenza o domicilio. Può chiedere, inoltre, i dati catastali: la sezione urbana, il foglio, la particella, il subalterno e il Comune. Non può invece chiedere, perché risulterebbe eccedente, copia della documentazione: come, ad esempio, l'atto di compravendita in cui sono riportati i dati. Per quanto riguarda poi le informazioni relative alle "condizioni di sicurezza", con l'entrata in vigore del "Decreto Destinazione Italia" i condòmini non dovranno più fornire alcuna informazione sulla propria unità immobiliare, perché i dati da raccogliere riguardano solo le parti comuni dell'edificio. Resta comunque legittimo l'accesso alle informazioni che riguardano la sicurezza degli impianti comuni.
Fatta la premessa di cui sopra, si può osservare che, se è vero che il rifiuto opposto dall'amministratore all'accesso al registro di anagrafe condominiale non è elencato tra le fattispecie “tipizzate” di grave irregolarità tale da legittimare la revoca giudiziale dell'amministratore, è del pari anche vero che l'elenco delle fattispecie di grave irregolarità contenuto nell'art. 1129 Cod Civ non è un elenco “chiuso”, ben potendo il Tribunale ritenere che il comportamento dell'amministratore in violazione della normativa integri comunque un legittimo motivo di revoca dall'incarico.
Si può inoltre osservare che tra le “gravi irregolarità” dettagliate dall'art. 1129 Cod. Civ. vi è proprio l'inadempimento dell'amministratore all'obbligo di cura della tenuta dei registri condominiali (art 1129 Cod. Civ. comma 12 n. 7): va da sè che tale previsione sarebbe priva di effetto se i condomini non avessero la possibilità di verificare che l'amministratore adempie  correttamente al proprio mandato da tale punto di vista.
La Magistratura non ha del resto mancato di sostenere il diritto dei condomini all'accesso alla documentazione amministrativa. Tra le varie si veda la sentenza della Corte di Cassazione n. 15159/01 nella cui massima si legge che “I condomini possono esercitare, in ogni tempo, la vigilanza ed il controllo sullo svolgimento dell'attività di gestione delle cose, dei servizi e degli impianti comuni e, perciò, di prendere visione dei registri e dei documenti che li riguardano, sempre che la vigilanza ed il controllo non si risolvano in un intralcio all'amministrazione, non siano contrari al principio della correttezza e che delle attività afferenti alla vigilanza ed al controllo i condomini si addossino i costi. Non è necessario, pertanto, che i condomini specifichino la ragione per cui vogliono prendere visione o estrarre copia dei documenti, spettando all'amministratore l'onere di dedurre e dimostrare l'insussistenza di qualsivoglia interesse effettivo in capo ai condomini istanti, perché i documenti non li riguardano, ovvero l'esistenza di motivi futili o inconsistenti e comunque contrari alla correttezza

• Sicurezza sul lavoro in condominio: obbligo di linee vita
Argomento: SICUREZZA SUL LAVORO
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Domanda

Avrei bisogno di sapere se è obbligatorio o quando è obbligatorio installare la linea vita sul tetto di un condominio.

Risposta di Antonio Romano

Occorre considerare la situazione con grande cautela, perché il committente di opere la cui esecuzione implica rischi specifici per l'esecutore - come nel caso dei lavori che si svolgono in quota - assume inevitabilmente gravi responsabilità, specie quando non viene nominato un responsabile dei lavori, come tipicamente avviene in tutti i casi in cui si svolgono piccoli interventi di manutenzione.
A livello nazionale si può affermare che l'obbligo non riguarda in senso stretto la posa in opera di linee vita, bensì la circostanza che, in caso di lavori che comportano pericolo di caduta, siano messe in atto adeguate strategie di protezione del lavoratore.
Infatti il Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro, Decreto Legislativo 81/2008, dispone all'art. 115, riguardante i "Sistemi di protezione contro le cadute dall'alto", che "1. Nei lavori in quota qualora non siano state attuate misure di protezione collettiva, 2. E' necessario che i lavoratori utilizzino idonei sistemi di protezione idonei per l'uso specifico composti da diversi elementi, non necessariamente presenti contemporaneamente, conformi alle norme tecniche, quali i seguenti: assorbitori di energia; connettori; dispositivo di ancoraggio; cordini; dispositivi retrattili; guide o linee vita flessibili; guide o linee vita rigide; imbracature.
3. Il sistema di protezione deve essere assicurato, direttamente o mediante connettore lungo una guida o linea vita, a parti stabili delle opere fisse o provvisionali".
Tuttavia, per effetto del rinvio alla normativa locale contenuto nell'art. art 1 comma 2 del D. Lgs. 81/08, nel caso in cui vi siano normative regionali, queste prevalgono.
Così, ad esempio, in Emilia Romagna, le linee vita sono comunque obbligatorie nel caso di nuova costruzione e per interventi riguardanti l’involucro esterno (pareti esterne perimetrali e/o coperture) di edifici esistenti che necessitano di permesso di costruire (PDC), segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), o nei casi in cui è prevista la notifica preliminare dei lavori da eseguirsi. Se l’intervento non ricade nei casi sopra elencati, non vi è l’obbligo di installazione di linee vita. (Deliberazione assemblea regionale Emilia-Romagna n. 149 del 17.12.13 "Atto di indirizzo e coordinamento per la prevenzione delle cadute dall’alto nei lavori in quota nei cantieri edili e di ingegneria civile", in vigore dal 15.07.2014, ai sensi dell’art. 6 della L.R. 2 marzo 2009, n. 2)
In Lombardia, invece, vige il Decreto 119 del 14.01.09 Direzione Generale Sanità Regione Lombardia che all'art. 2 dell'allegato dispone che "Gli edifici devono essere muniti di idonei manufatti (es. scale, passerelle, parapetti, dispositivi di ancoraggio ecc) tali da consentire l'accesso sulla copertura e permettere gli interventi di manutenzione e riparazione in sicurezza": quindi in questa regione non è strettamente necessario installare linee vita, ma occorre prevedere sistemi di protezione comunque idonei.
Normative regionali ci risulta siano attualmente esistenti in Sicilia, Toscana, Emilia Romagna, Liguria, Piemonte, Lombardia, Veneto, Trentino Alto Adige, Friuli.
Occorre quindi considerare attentamente il luogo in cui si trova l'immobile di Suo interesse, perchè se è sempre e comunque necessario fare in modo che il lavoratore sia protetto, non sempre l'installazione di linee vita è richiesta.
• Utilizzo del cortile per i condomini con una seconda auto
Argomento: UTILIZZAZIONE DELLE PARTI ESCLUSIVE
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Domanda
 
In un condominio dove pure vi sono box in numero sufficiente per le unità immobiliari, i condomini si sono determinati a utilizzare il cortile come posto auto, riservandone l'utilizzo ai soli condomini che abbiano una seconda autovettura. Gli spazi sarebbero stati assegnati avendo come riferimento la parte del cortile prospiciente il box di proprietà ove vi sia spazio, mentre nei casi n cui lo spazio non fosse utilizzabile, avrebbero assegnato un posto auto da scegliersi come preferito.

Risposta di Antonio Romano

Alla luce della legge di riforma del condominio, è possibile deliberare con la speciale maggioranza di cui all’art 1117 ter Cod Civ (4/5 dei condomini che esprimano 4/5 dei millesimi) e, si badi, con lo speciale procedimento dettagliato in tale norma, ogni innovazione delle parti comuni, anche se la stessa potesse essere ritenuta inficiante l’uso ed il godimento delle parti comuni da parte di un condomino.
Si noti peraltro che, al di fuori dell’assemblea, non si forma mai una maggioranza valida, per cui la determinazione dei condomini che si sono riuniti informalmente non ha alcun valore e l’amministratore non vi deve dare corso.
Ulteriormente, si noti che, mentre è possibile mutare la destinazione d’uso dell’area cortilizia con le maggioranze ed il procedimento speciale di cui sopra, non è mai possibile attribuire una parte comune o una porzione di essa in proprietà o uso esclusivo ad uno o più condomini con delibera assembleare, anche se fosse assunta ad ampia maggioranza.
L’assemblea, infatti, non è competente al riguardo ed una eventuale delibera sarebbe radicalmente nulla, quindi inesistente e l’amministratore non vi dovrebbe dare corso.
Solo la determinazione contrattuale assunta all’unanimità può condurre al risultato di concedere validamente una porzione del cortile in uso esclusivo ad alcuni condomini.
Il diritto di comproprietà dei condomini sulle parti comuni di un edificio deve infatti ritenersi leso ogni qualvolta alcuno tra i condomini abbia attratto la cosa comune in tutto od in parte nella propria disponibilità esclusiva, sottraendola alla possibilità di sfruttamento collettivo, a prescindere che si tratti di compravendita o mera concessione in uso. 
Tra le varie sentenze, citiamo al riguardo la decisione della Cassazione n. 1004/2004 per cui “costituisce innovazione vietata l’assegnazione nominativa da parte del condominio a favore di singoli condomini di posti fissi nel cortile comune”.
Le consigliamo quindi di non dare corso ad alcuna decisione di concessione in uso ad alcuni condomini di uno o più posti auto nel cortile comune in assenza di una determinazione contrattuale, che, peraltro, dovrebbe essere trascritta nei registri immobiliari.
• Trasformazione del cortile condominiale in parcheggio
Argomento: UTILIZZAZIONE DELLE PARTI COMUNI
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Domanda

I condomini vorrebbero utilizzare il cortile condominiale come parcheggio: è possibile decidere a maggioranza? Quale maggioranza è quella corretta?

Risposta di Antonio Romano

La normativa introdotta dalla riforma del condominio distingue tre tipi di innovazioni: quelle “standard” che comportano una modifica della destinazione d’uso dei beni comuni (art 1120 comma 1 Cod Civ), quelle che comportano una modifica delle destinazioni d’uso delle parti comuniche possono pregiudicarne l'uso da parte di un condomino (art 1117 ter Cod Civ), quelle che sono “socialmente rilevanti” (abbattimento barriere architettoniche, realizzazione parcheggi, produzione di energia da fonte rinnovabile, contenimento del consumo energetico, realizzazione di impianti per la ricezione radiotelevisiva o per l'accesso a qualsiasi altro flusso informativo) (art 1120 comma 2 Cod Civ).
Nello specifico, la situazione può delineare un caso di cui al comma 2 dell’art. 1120 Cod Civ sopra citato, per cui l’approvazione è possibile con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti in assemblea che rappresentino almeno 500/1000.
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